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536 lettere.

V.1

Al marchese di Mantova.

Illustrissimo et eccellentissimo Signor mio.

Più presto per ubbidire a quanto V. E. mi comandò, le mando la mia Capsaria, che perch’io la reputi cosa degna di andarle in mano. Ho tardato alquanto a mandarla, perchè non ho avuto così presto chi me la trascriva. Qualunque ella si sia, V. E. la accetti con quella benignità colla quale è solita di vedere le altre mie sciocchezze. In buona grazia de la quale umilmente mi raccomando; e la supplico che, dove mi creda bôno a poterla servire, si degni di comandarmi.

Di V. E.
Ferrara, 6 giugno 1519.

Umil servitore,
Lodovico Ariosto.


Fuori — All’Illustmo ed Eccelmo Principe Signor Colenmo,
                    il Signor Marchese di Mantova.


VI.2

Al medesimo.

Illustrissimo ed eccellentissimo Signor mio.

Perchè credo che V. E. ec. amava assai messer Rainaldo3 mio cugino e fratello, e grande servitor suo, mi parría di commetter gran fallo a non dar avviso che oggi a nove ore è passato di questa vita; ed in quattro dì si è spacciato,4 dopo



  1. Edita la prima volta nell’Appendice all’Archivio storico italiano, tom cit., pag. 317; ristampata dal Mortara, Epistole ec., pag. 15.
  2. Pubblicata dal signor Mortara, tra le Epistole ec., pag. 16; poi riprodotta come inedita dal signor Braghirolli, tra le Lettere ec., pag. 17. Vedasi la nota 1 alla nostra pag. 534.
  3. Nella edizione del Braghirolli vedesi aggiunto: «Ariosto.» È questi quel cugino alla cui eredità il poeta co’ suoi fratelli aspirarono inutilmente, secondo che narra il Baruffaldi, Vita ec., pag. 181-182; e fors’anche il medesimo del quale si parla nei v. 137-138 della Satira III.
  4. «Del morbo ond’ebbe a morire questo cugino dell’Ariosto, bellissimo documento, in una lettera di mano dello stesso Rainaldo, ne ho io dato per dono al chiarissimo bibliografo abate Marchi modenese, mio carissimo amico.» — (Mortara.)