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48 la cassaria.


Fulcio.     Il Bassam mio signore. Fuggi, ti dico: ancor ti stai? fuggi, misero.

Lucrano.     E che ho fatto io, che meriti la forca?

Fulcio.     Hai rubato Crisobolo il tuo vicino.

Lucrano.     Non è così.

Fulcio.     E egli t’ha ritrovato in casa con testimonî il furto. Ed ancora t’indugi? fuggi presto, fuggi: che fai?

Lucrano.     Se vorrà intendere il Bassam le ragion mie...

Fulcio.     Non perder tempo in ciance, pover uomo; fuggi col diavol, fuggi; chè non è venti braccia lungi il barigello, che ha commissione di subito impiccarti, e mena il boja seco. Fuggi, diléguati presto.

Lucrano.     Ah Fulcio, mi ti raccomando: io t’ho amato sempre, poi ch’io ho avuta tua conoscenzia, e studiato di farti ove ho possuto piacere.

Fulcio.     E per questo son venuto ad avvisarti.

Lucrano.     Io ti ringrazio.

Fulcio.     Chè se mio patron lo sapesse, mi farebbe impiccar teco: ma fuggi e non gracchiar più.

Lucrano.     Aimè, la casa e la roba mia!

Fulcio.     Che casa? che roba? fuggi col malanno.

Lucrano.     E dove debb’io fuggire?

Fulcio.     Che so io? ho fatto il mio debito un tratto: se sei impiccato, tuo danno; già non voglio esserti impiccato appresso.

Lucrano.     Ah Fulcio! ah Fulcio!

Fulcio.     Non mi nomare, che sia squartato! chè non ti oda alcuno, chè non rapporti al mio signore ch’io t’abbi avvisato.

Lucrano.     Non mi lasciar, di grazia; mi ti raccomando.

Fulcio.     Alle forche ti raccomando. Non vorrei per quanto vale il mondo, che al Bassam fusse detto che t’avessi parlato.

Lucrano.     Ah, per Dio! odi una parola.

Fulcio.     Non è tempo ch’io espetti, chè mi pare non so che sentire, e son certo ch’è il bargello.

Lucrano.     Io verrò teco.

Fulcio.     Non venir; fuggi altrove.

Lucrano.     Sì, verrò pure.