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54 la cassaria.


Crisobolo.     Se non fussi per l’onor di tua matre, io direi che non mi fussi figliuolo. Io non veggio in te costumi che mi rassomigli, e molto avrei più caro che mi rassomigliassi nelle buone opere, che in viso.

Erofilo.     Incusa1 la giovenezza mia.

Crisobolo.     Non credi tu che anch’io sia stato giovene? Io in la tua etate era sempre a lato al tuo avo, e con sudore e fatica lo ajutava ad ampliare il patrimonio e le facultà nostre, che tu,2 prodigo e bestiale, con tua lascivia cerchi consumare e struggere. Sempre nella gioventù mia era il maggior mio desiderio d’esser presso agli uomini buoni stimato buono, e con quelli conversava, e questi con tutto il studio mio cercava imitare: e tu, pel contrario, hai sol pratica di ruffiani e bari e bevitori, e simile canaglia; che se mio figliuolo vero fussi, avresti rossore d’esser veduto loro in compagnia.

Erofilo.     Ho fallato, patre, perdonami, e sta sicuro che questo sarà l’ultimo fallo che t’abbia a far mai più disdegnar meco.

Crisobolo.     Erofilo, per Dio ti giuro che, se non t’emendi, ti farò con tuo grande spiacere conoscere ch’io mi risento. Se ben talor fingo di non vederti, non ti creder ch’io sia però cieco. Se non farai il tuo debito, io farò il mio; e minor danno è stare senza figliuolo, che averlo scelerato.

Erofilo.     Padre, mi sforzerò per l’avvenire esserti più obbediente.

Crisobolo.     Se attendi al ben vivere, oltre che mi farai cosa gratissima e quel che ti si conviene, tu farai l’utilità tua; e siene certo.3



  1. Accagiona. Latinismo non frequente, e già registrato.
  2. Ant. stamp.: e che.
  3. Respettivamente a questa scena, il Baruffaldi, nella Vita dell’autore, riporta un aneddoto che sembra essersi come per tradizione conservato nella famiglia di lui; cioè, che essendo egli un giorno, come spesso accadeva, ammonito dal padre pe’ suoi giovanili trascorsi, «soffrì la correzione in silenzio, e senza arrecare discolpa. Del che avendo di lì a poco ragionamento con Gabriele suo minor fratello (presso del quale bravamente purgòssi), e pressandolo questi a dire perchè mai usata avesse col padre tanta moderazione, Lodovico rispose, che in quel frattempo egli corse colla fantasia ad una scena della sua commedia intitolata la Cassaria, intorno alla quale stava attualmente travagliando; e mentre appunto il padre lo ammoniva, egli studiavasi di trasportare dal vero al finto i tratti di quella scena. Peraltro, io con alcuni sono d’avviso, che tanto l’idea di quella scena, quanto il carattere di qualche personaggio nella Commedia introdotto, debbansi dire piuttosto una studiata imitazione dell’Andria di Terenzio, che un improvviso pensiero nato dall’incontro avuto col padre.» Pag. 23-24.