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atto secondo. — sc. ii. 77

SCENA II.

Il SANESE, il suo SERVO ed EROSTRATO.


Sanese.     In grandi ed inopinati pericoli spesso incorre chi va pel mondo.

Servo.     È vero. Se questa mattina, passando noi al ponte del Lagoscuro, si fusse la barca aperta, tutti ci affogavamo; che non è alcun di noi che sappia notare.

Sanese.     Io non dico di questo.

Servo.     Tu vuoi dir forse del fango che trovassimo jeri venendo da Padova, che per doi volte fu la mula tua per traboccarvi?

Sanese.     Va, tu sei una bestia; dico del pericolo nel quale in questa terra siamo quasi incorsi.

Servo.     Gran pericolo certo, ritrovare chi ti levi da l’osteria, e ti alloggi in casa sua!

Sanese.     Mercè del gentiluomo che vedi là. Ma lascia le buffonerie: guárdati, e così dico a voi altri,1 guardatevi tutti di dire che siamo sanesi, o di chiamarmi altrimenti che Filogono di Catania.

Servo.     Di questo nome strano mi ricorderò male; ma quella Castanea non mi dimenticherò già.

Sanese.     Che Castanea? io ti dico Catania, in tuo mal punto.

Servo.     Non saprò dir mai.

Sanese.     Taci dunque; non nominare Siena, nè altro.

Servo.     Vuoi tu ch’io mi finga muto, come feci un’altra volta?2

Sanese.     Sarebbe una sciocchezza ormai. Or non più, tu hai piacere di cianciare. Ben venga il mio figliuolo.

Erostrato.     Abbi mente, perchè questi Ferraresi sono astutissimi, che nè in parlare nè in gesti si possano accorgere che tu sii altro che Filogono catanese, e mio padre.

Sanese.     Non ne dubitare.

Erostrato.     Il dubbio a te più tocca, ed a questi tuoi; chè saresti incontinente svaligiati, e forse anco ve ne seguiría peggio.


  1. Parla ad altri servi. — (Tortoli.)
  2. Allude alla scena VII dell’atto quarto della Cassaria, in cui il servo Trappola si finge muto. Può da questo congetturarsi, che chi allora fece la parte di Trappola era quel medesimo che qui fa da servo del Sanese. — (Tortoli.)