Pagina:Ariosto - Orlando furioso, secondo la stampa del 1532, Roma 1913.djvu/186

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 [40]
Dal noſtro Re ſian (diſſe) di Granata
     Chiamati in compagnia de la ſigliuola:
     Laquale al Re di Sarza ha maritata
     Benché di ciò la fama anchor non vola:
     Come appreſſo la ſera racchetata
     La cicaleta ſia, e’ hor s’ ode ſola
     Auati al padre ſra l’Hiſpane torme
     La condurremo, intanto ella ſi dorme.

 [41]
Colui che tutto il mondo vilipende
     Diſegna di veder torto la pruoua.
     Se quella gente o bene, o mal difende
     La donna alla cui guardia ſi ritruoua,
     Diſſe, cortei per quanto ſé n’ intende
     E bella, e di ſaperlo hora mi gioua,
     Allei mi mena, o falla qui venire
     Ch’ altroue mi còuien ſubito gire.

 [42]
Eſſer per certo dei pazzo ſolenne,
     Riſpoſe il Granatin, ne piú gli diſſe,
     Ma il Tartaro a ferir torto lo venne
     Con l’haſta baſſa, e il petto gli trafiſſe,
     Che la corazza il colpo non ſoſtenne
     E ſorza ſu che morto in terra giſſe:
     l’haſta ricoura il figlio d’ Agricane,
     Perche altro da ferir non gli rimane,

 [43]
Non porta ſpada ne baſton, che quando
     l’arme acqſto che fur d’ Hettor Troiano
     Perche trouo che lor mancaua il brado
     Gli couenne giurar (ne giuro in vano)
     Che ſin che no togliea quella d’ Orlado
     Mai non porrebbe ad altra ſpada mano,
     Duridana ch’Almote hebbe i gra ſtima
     E Orlado hor porta, Hettor portaua pria

 [44]
Grande e l’ardir del Tartaro che vada
     Con diſuantaggio tal contra coloro,
     Gridando chi mi vuol vietar la ſtrada?
     E con la lancia ſi caccio tra loro:
     Chi l’haſta abbaſſa, e chi tra ſuor la ſpada
     E d’ogn’ intorno ſubito gli ſoro:
     Egli ne fece morire vna ſrotta
     Prima che quella lancia foſſe rotta.

 [45]
Rotta che ſé la vede, il gran troncone
     Che reſta intero, ad ambe mani afferra:
     E fa morir con quel tante perſone,
     Che non ſu viſta mai piú crudel guerra,
     Come tra Philiſtei l’hebreo Sanſone
     Co la maſcella che leuo di terra
     Scudi ſpezza, elmi ſchiaccia, e vn colpo ſpeffo
     Spége i caualli a i cauallieri appſſo.

 [46]
Correno a morte que miſeri a gara
     Ne perche cada l’un, l’altro andar ceſſa,
     Che la maniera del morire, amara
     Lor par piú assai, che no e morte iſteffa:
     Patir non ponno che la vita cara
     Tolta lor ſia da un pezzo d’ haſta feſſa,
     E ſieno ſotto alle picchiate ſtrane
     A morir giunti, come bifeie o rane.

 [47]
Ma poi ch’a ſpeſe lor, ſi ſuro accorti
     Che male in ogni guiſa era morire:
     Sendo giá preſſo alli duo terzi morti
     Tutto l’auanzo comincio a ſuggire,
     Come del proprio hauer via ſé gli porti
     Il Saracin crudel non può patire
     Ch’ alcun di quella turba sbigottita
     Da lui partir ſi debba co la vita.