Pagina:Ariosto - Orlando furioso, secondo la stampa del 1532, Roma 1913.djvu/330

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 [104]
Poi dice conoſco io pur queſte note,
     Di tal io n’ho tante vedute e lette:
     Finger queſto Medoro ella ſi puote
     Forſè ch’a me queſto cognome mette:
     Con tali opinion dal ver remote
     Vſando ſraude e ſé medeſmo, ſtette
     Ne la ſperanza il mal contento Orlando
     Che ſi ſeppe a ſé ſteffo ir procacciando

 [105]
Ma ſempre piú raccende e piú rinuoua
     Quato ſpenger piú cerca il rio ſoſpetto
     Come l’incauto augel che ſi ritroua
     In ragna o in viſco hauer dato di petto
     Quanto piú batte l’ale e piú ſi proua
     Di diſbrigar piú vi ſi lega ſtretto
     Orlando viene oue s’ incurua il monte
     A guiſa d’arco in ſu la chiara ſonte.

 [106]
Haueano in ſu l’entrata il luogo adorno
     Coi piedi ſtorti hedere e viti erranti:
     Quiui ſoleano al piú cocente giorno
     Stare abbracciati i duo felici amanti
     V haueano i nomi lor dentro e d’intorno
     Piú che in altro de i luoghi circòſtanti
     Scritti qual con carbone e qual co geffo
     E qual con punte di coltelli impreſſo.

 [107]
Il meſto Conte a pie quiui diſceſe
     E vide in ſu l’entrata de la grotta
     Parole assai, che di ſua man diſtefe
     Medoro hauea, ch pareá ſcritte allhotta,
     Del gran piacer che ne la grotta preſe
     Queſta ſententia in verſi hauea ridotta
     Che foſſe eulta in ſuo Hguaggio io pgfo
     Et era ne la noſtra tale il ſenſo.

 [108]
Liete piante, verdi herbe, limpide acque
     Spelúca opaca, e di ſredde ombre grata:
     Doue la bella Angelica che nacque
     Di Galafron, da molti in vano amata,
     Speſſo ne le mie braccia nuda giacque:
     De la commodita che qui m’e data,
     Io pouero Medor ricompenfarui
     D’altro nò poſſo che d’ognihor lodarui.

 [109]
E di pregare ogni Signore Amate
     E Caualieri, e Damigelle, e ognuna
     Perſona, o paeſana, o viandante,
     Che qui ſua volontá meni o Fortuna:
     Ch’ali’ herbe all’Gbr all’atro al rio alle piate
     Dica, bèigno habbiate, e ſole, e lúa,
     Et de le nymphe il choro, che pueggia
     Che no gduca a voi paſtor mai greggia.

 [110]
Era ſcritto in Arabico, che’l Conte
     Intendea coſi ben come latino,
     Fra molte lingue e molte, e’ hauea pronte
     Prontiſſima hauea quella il Paladino,
     E gli ſchiuo piú volte, e danni, & onte
     Che ſi trouo tra il popul Saracino,
     Ma nò ſi vati ſé giá n’hebbe ſrutto
     Ch’ u dano hor n’ ha, ch può ſcontargli il tutto

 [111]
Tre volte, e quattro, e fei, leſſe lo ſcritto
     Quello inſelice, e pur cercando in vano
     Che non vi foſſe quel che v’era ſcritto
     E ſempre lo vedea piú chiaro e piano,
     Et ogni volta in mezo il petto afflitto
     Stringerſi il cor ſentia con ſredda mano,
     Rimaſe al ſin con gliocchi e con la méte
     Fiffi nel ſaſſo, al ſaſſo indifferente.