Pagina:Ariosto - Orlando furioso, secondo la stampa del 1532, Roma 1913.djvu/332

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 [120]
E ſanza hauer riſpetto ch’ella ſuſſe
     Figlia di maggior Re e’ riabbia il Leuate
     Da troppo amor conſtretta ſi conduſſe
     A farſi moglie d’ un pouero fante,
     All’ultimo l’hiſtoria ſi riduſſe
     Che’l paſtor ſé portar la gemma inante,
     Ch’alia ſua dipartenza per mercede
     Del buono albergo Angelica gli diede.

 [121]
Queſta concluſion ſu la ſecure
     Che’l capo avn colpo gli leuo dal collo,
     Poi che d’ innumerabil battiture
     Si vide il manigoldo Amor ſatollo,
     Celar ſi ſtudia Orlando il duolo, e pure
     Quel gli fa ſorza, e male aſeòder pollo,
     p lachryme e fuſpir da bocca e d’ occhi
     9uié voglia o no voglia al ſin ch ſcocchi

 [122]
Poi ch’allargare il ſreno al dolor puote
     Che reſta ſolo e ſenza altrui riſpetto,
     Giú da gliocchi rigando per le gote
     Sparge vn fiume di lachryme fu’l petto,
     Soſpira e geme, e va con ſpeſſe ruote
     Di qua di la tutto cercando il letto,
     E piú duro ch’un Saſſo, e piú pungente
     Che ſé foſſe d’urtica, ſé lo ſente.

 [123]
In tanto aſpro trauaglio gli ſoccorre
     Che nel medeſmo letto in che giaceua,
     l’ingrata donna venutaſi a porre
     Col ſuo drudo piú volte eſſer doueua,
     No altrimenti hor qlla piuma abbhorre
     Ne con minor preſtezza ſé ne leua
     Che de l’herba il villa, ch s’era meſſo
     p chiuder gliocchi: e vegga il ſpe appſſo

 [124]
Quel letto, quella caſa, quel paſtore
     Immantinente in tant’odio gli caſea,
     Che ſenza aſpettar Luna, o che l’Albore
     Che va dinanzi al nuouo giorno, naſca,
     Piglia l’arme e il deſtriero, & eſce ſuore
     Per mezo il boſco alla piú oſcura ſraſca
     E quando poi gli e auiſo d’ eſſer ſolo
     Con gridi & vrli apre le porte al duolo.

 [125]
Di pianger mai, mai di gridar non reſta
     Ne la notte nel di ſi da mai pace,
     Fugge cittadi, e borghi, e alla foreſta
     Su’l terren duro al diſcoperto giace,
     Di ſé ſi maiauiglia e’ habbia in teſta
     Vna ſontana d’ acqua ſi viuace,
     E come ſoſpirar poſſa mai tanto,
     E ſpeffo dice a ſé coſi nel pianto.

 [126]
Queſte non ſon piú lachryme che ſuore
     Stillo da gliocchi con ſi larga vena,
     Non ſuppliron le lachryme al dolore
     Finir, oh’ a mezo era il dolore a pena,
     Dal fuoco ſpinto hora il vitale humore
     Fugge p quella via ch ’a gliocchi mena
     Et e quel che ſi verſa, e trarrá inſieme
     E’l dolore, e la vita all’hore eſtreme.

 [127]
Queſti ch’inditio fan del mio tormento
     Soſpir non ſono, ne i ſoſpir ſon tali,
     Quelli ha triegua talhora, io mai nò ſèto
     Che’! petto mio men la ſua pena eſhali,
     Amor che m’arde il cor fa queſto vento
     Mentre dibatte intorno al fuoco l’ali,
     Amor con che miracolo lo fai?
     Che’n fuoco il tenghi e noi còfumi mai ?