Pagina:Ariosto - Satire, 1809.djvu/11

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PRIMA 5

E se ’l Signor m’ha dato, onde far nuovo
     Ogn’anno mi potrei più d’un mantello;
     Che m’abbia per voi dato, non approvo.
Egli l’ha detto; io dirlo a questo, a quello
     Voglio, ed i versi miei posso a mia posta
     Mandare al Culiseo per lo suggello.
Opra, ch’in esaltarlo abbia composta,
     Non vuol, ch’ad acquistar mercè sia buona:
     Di mercè degno è l’ir correndo in posta.
A chi nel Barco, e in villa il segue, dona,
     A chi lo veste, e spoglia, o pone i fiaschi
     Nel pozzo per la sera in fresco a nona.
Vegghi la notte in fin, che i Bergamaschi
     Si levino a far chiodi, sì che spesso
     Col torchio in mano addormentato caschi.
S’io l’ho con laude ne’ miei versi messo,
     Dice, ch’io l’ho fatto a piacere, e in ozio;
     Più grato fora essergli stato appresso.
E se in cancellerìa m’ha fatto sozio
     A Melan del Costabil, sì c’ho il terzo
     Di quel, ch’al notajo vien d’ogni negozio;
Gliè, perchè alcuna volta io sprono, e sferzo
     Mutando bestie, e guide, e corro in fretta
     Per monti, e balze, e con la morte scherzo.
Fa a mio senno, Maron, tuoi versi getta
     Con la lira in un cesso, e un’arte impara,
     Se beneficio vuoi, che sia più accetta.