Pagina:Ariosto - Satire, 1809.djvu/21

Da Wikisource.

SECONDA 15

Ed egli a casa avea tornato i buoi;
     Ch’or vuol fagiani, or tortorelle, or starne,
     Che sempre un cibo usar, par che l’annoi.
Or sa, che differenza è da la carne
     Di capro e di cinghial, che pasca al monte,
     Da quel che l’Elisea soglia mandarne,
Fa ch’io trovi dell’acqua non di fonte,
     Di fiume sì, che già sei dì veduto
     Non abbia Sisto, nè alcun altro ponte.
Non curo sì del vin, non già il rifiuto;
     Ma a temprar l’acqua me ne basta poco,
     Che la taverna mi darà a minuto.
Senza molt’acqua i nostri, nati in loco
     Palustre, non assaggio, perchè puri
     Dal capo tranno in giù che mi fa roco.
Cotesti, che farian? che son nei duri
     Scogli de’ Corsi ladri, o d’infedeli
     Greci, o d’instabil Liguri maturi?
Chiuso nel studio frate Ciurla, se li
     Bea, mentre fuor il popolo digiuno
     Lo aspetta, che gli sponga gli Evangeli:
E poi monti sul pergamo più d’uno
     Gambaro cotto, rosso, e romor faccia,
     E un minacciar, che ne spaventi ogn’uno,
Ed a messer Moschin pur dia la caccia,
     A fra Gualengo, ed a’ compagni loro,
     Che metton carestía ne la vernaccia.