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Pagina:Aristofane - Commedie, Venezia 1545.djvu/288

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D’ARISTOFANE. 144
che heri sera cantava, l’ha eccitato, et isvegiato, che ricercava danari da li rei. Subito dopo cena gridava a le subre. Poi andato ivi, dormiva à la mattina bene, come ostrea attaccata ad una colonna. e per malagevolezza, e dispetto de tutti, si pone à fare una pregione, et ivi dentro si nasconde, si come ape, ò culice, le ungie si ripiena di cera. poi v’ha dentro un’arena d’un fiume, à ciò che temendo de’l calculo, non gli manchi mai da giudicare. Per il che se ne stà di mala voglia, ma come più è avisato, tanto piu vuol giudicare. il custodiamo dunque con chiavature, à ciò che non fugesse: imperò che il figliuol ha molto in odio questo suo male. et primamente consolatolo con parole humane lo riconfortava poi, ch’ei tolerasse questo bene, che di gratia non volesse uscire, et egli non si persuadeva à modo alcuno poi lavavalo, et annettavalo, et poi divotamente sacrificava, et essolvi con il suo timpano bizzarrescamente giudicava, e cadeva ne’l luto. quando poi non faceva sacrifici, navigava in Egina. pigliandolo di notte lo faceva venire ne’l tempio d’Esculapio, et esso lui s’ascose, che non pareva, in non so che banche. et noi il cavassimo fuori, et egli fugeva per li canali, et caverne. et noi i luoghi, ciascuni che erano perforati, empiessimo de strazzi. et gli otturassimo. et elli come un corvo sbatteva d’i pali ne’l muro, poi saltava, et noi istendendo le reti

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