Pagina:Arrighi - La scapigliatura e il 6 febbrajo, Milano, Redaelli, 1862.djvu/135

Da Wikisource.

— 131 —

Da quel giorno fummo più amici che se ci fossimo conosciuti da dieci anni. Come quando ci trovammo noi due.

Temistocle era bello, come può essere bello un giovine tarchiato di cinque piedi e dieci pollici in mezzo alla generazione del giorno d’oggi. Il suo portamento, la foggia del vestire e l’aria un po’ desolata del viso fermavano la gente in istrada; la sua barba a ventaglio arieggiava quella posticcia di un gran sacerdote da palcoscenico.

Egli aveva studiato di medicina; ma dagli ultimi esami in poi non gli era mai più passato per il capo che ci fossero al mondo malati e mezzi da mandarli più presto al cimitero. Era nato artista, e artista divenne. Forse, qualora suo padre l’avesse voluto artista, ei si sarebbe gettato con fervore alla medicina; giacchè in queste nature predestinate alla sventura e al suicidio la contraddizione è inevitabile... sai bene?

Temistocle, un bel giorno dunque, s’era messo a schizzar delle figure, e, quand’ebbe gettato sulla carta quei primi abbozzi, scoprì di possedere il tratto felice e il così detto chic dell’artista contemporaneo. Nella inesperienza della matita, sotto le crudezze di quelle linee da dilettante, c’era un non so che di così ben trovato e un’audacia di genio... portentosa.

Allora egli fece l’entrata nel mondo artistico a colpi di litografia, e passò le sue ore a tormentare la mano sulla pietra, e la fantasia nelle scene dolorose della vita di miseria.