Pagina:Arrighi - La scapigliatura e il 6 febbrajo, Milano, Redaelli, 1862.djvu/59

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I suoi tratti avrebbero forse potuto essere più corretti, più attraenti, no. I suoi capelli, di quel castagno ardente e quasi dorato che ne dinota la estrema finezza, avevano quello sfarzo di vegetazione che non si dà che nelle nature perfettamente dotate; quasi ribelli al pettine, si disegnavano ondati, a profluvio e pieni di rigoglio sulla fronte candida e pura come quella d’un angelo. La era una di quelle testoline ricche e voluttuose su cui un amante poserebbe con ebbrezza le labbra coprendola di insaziabili baci... I suoi occhi, color del nostro cielo, possedevano quel mistero dello sguardo in cui Dio mise l’ispirazione dell’amore: occhi al cui fascino nessun’anima d’uomo nobilmente foggiata avrebbe potuto sfuggire quando gli si fossero rivolti col pensiero di sedurre. Il di lei collo, il braccio, il corpo avevano dei movimenti d’una grazia indescrivibile; e la curva deliziosa, nè troppo turgida, nè troppo scarsa, del di lei seno, era degna dello scalpello d’un genio: per forza di un mirabile giusto mezzo quel seno avrebbe accontentato pienamente tanto chi sdegna nella donna le soverchie rotondità, come chi si diletta di procaci forme. Ciò poi che avrebbe finito di sedurre, chiunque fra le doti femminili non mette per ultima la piccolezza delle estremità, erano la sua mano ed il suo piede: il piedino sopratutto, che in quel punto le usciva fuori dal lembo della veste, e batteva leggermente il suolo con una specie di impazienza convulsiva, avrebbe fatto risuscitare un morto, e morire un vivo.