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192 Atlandide


All’entrare dei Due la barba oscena
     Levò costui dal putrido cibreo,
     E in chioccia voce d’alterigia piena
     Esclamò non pregato: Io son Linceo!
     A questa pura ed odorosa vena
     Io da più anni mi disseto e beo,
     E andando su e giù come stantuffo
     Gli alti secreti di Natura acciuffo.

Stomaco insigne, e qual da così fatto
     Mestier, tosto la Donna a dir gli prese,
     Vantaggio mai l’umana gente ha tratto,
     Qual bene o gloria il tuo gentil paese?
     Soffiò, strillò, come assalito gatto,
     Linceo, nè il fin della domanda attese;
     E sguazzando fra quelle orride zuppe,
     Digrignò i denti verdi, e sì proruppe:

Qual onore? Qual pro? De’ miei divini
     Studj udito non hai dunque gli squilli?
     Io scoprii quante specie di pollini
     Han sotto a’ genitali organi i grilli;
     Io scoprii quanti anelli e quanti uncini
     Ha il tènia, quanti peli hanno i bacilli,
     Io le genti scoprii viscide e strane,
     A cui fu patria un cacherel di cane!