Pagina:Atlantide (Mario Rapisardi).djvu/211

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Canto decimo 211


Da quell’austera vergine ad un tratto
     Rapire Esperio e sollevar si sente,
     E qual rapida fionda a girar tratto
     Da un braccio adamantino, onnipossente;
     Igneo, leggero e quasi aereo fatto
     Ei turbina vertiginosamente,
     E d’una striscia luminosa, intensa
     Solca i misteri della notte immensa.

Gira ei ratto così, finchè di fronte
     Gli si accampa un fantasma all’aure vane,
     Che torvo, immoto, come piceo monte,
     Tenebre erutta e voci orrende e strane;
     Corrono al cenno suo tre Furie pronte
     Con chiome di serpenti e facce insane,
     E a lui che splende vorticoso in alto
     Muovon ghignando inopinato assalto.

Ei precipita allor sotto ai funesti
     Flagelli e d’improvvisa ombra si ammanta,
     Qual vediamo talor giù dai celesti
     Domi la scheggia d’una stella infranta:
     La segue il prigionier con occhi mesti,
     Pensa a una cara vecchiarella, e canta;
     Spegnersi una pensosa alma la vede,
     E invan sospira alla perduta fede.