Pagina:Atlantide (Mario Rapisardi).djvu/241

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Canto undecimo 241


Passa il carro augurale, ed un sinistro
     Grido l’Arpia d’Asburgo al ciel saetta,
     E su le tenebrose onde dell’Istro
     Spazia superba, e il dio nemico aspetta.
     Bacca sotto i suoi voli a suon di sistro
     La sitibonda imperial Vendetta,
     E un giovinetto, che dal laccio infame
     Penzola al vento, è poco alle sue brame.

Penzola il sacro giovinetto, e al suono
     Del trionfale iddio s’anima e scende,
     E il glorioso imperator dal trono
     Travolge a un tocco, ed il suo loco prende.
     Un’aureola di sdegno e di perdono
     Il delicato e fiero capo accende,
     Mentre per gli antri della vacua reggia
     La voce sua qual vaticinio echeggia:

Venuta è l’ora! Come fragil tazza
     Da una destra sfuggita ebbra e lasciva,
     Si frantuma il poter dell’empia razza,
     Che a mentir solo ed a misfare è viva;
     La strega irsuta che al Danubio impazza,
     D’occhi non pur, ma d’intelletto è priva;
     Brancola urlando nell’estrema pugna,
     Le braccia vibra, e invan tre genti adugna.