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Canto dodicesimo 265


Patrie non più! Non più biechi e selvaggi
     Termini a cui l’umana onda si spezza,
     Per cui depone Amore i dolci raggi,
     E stolta Vanità gli odj accarezza;
     Per cui l’Odio è virtù, studio gli oltraggi,
     L’omicida furor nobile ebbrezza,
     Arie sublime e glorioso vanto
     Spremer di sangue un fiume, un mar di pianto!

Ma una patria, una legge, un popol solo,
     Che nell’opre del braccio e del pensiero
     Sempre più sorga a luminoso volo
     E incalzi sempre più l’arduo mistero:
     Una patria, a cui sia limite il polo,
     Una famiglia a cui sia fede il Vero,
     Un amor, che confonda entro sè stesso
     Gli esseri tutti in un fraterno amplesso!

Di rei computi padre e di sospetti
     Non più costringa i cori avido Imene,
     Perchè preda al fastidio indi li getti
     Di pregiudizj carchi e di catene:
     Indi covata in trafficati letti
     Un’egra stirpe tralignando viene,
     Che smaniosa nel suo ferreo dritto
     Dal tedio e dall’error giunge al delitto.