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del conte monaldo leopardi 93

capo dal Generale Berthier, e marciarono a Roma facendo sempre la smorfia di essere in amicizia col Papa, e mal velando queste ostilità aperte con pretesti ridicoli. Come poi invadessero la capitale, rendessero prigioniero il Pontefice strascinandolo in Francia, ed erigessero un Fantasma di Republica Romana, appartiene alla storia di Italia e della Chiesa, non alle Memorie di Recanati, o di me.

XLI.

Repubblica Romana.

Nei primi giorni successivi a questa invasione ogni paese si regolò a modo suo, perchè il Governo pontificio era abolito, e il nuovo non subentrava, nè sapevamo cosa volesse farsi di noi. Bensì restando in ogni città un comandante francese, e predicandosi per tutto libertà, eguaglianza, democrazia, ogni paese dovè dichiararsi Republica, e si ebbero momentaneamente tante Republiche quanti sono i Comuni della Marca. A chi non è vissuto in quei tempi farà meraviglia il sentire che moltissimi, e fra questi uomini anche saggi e buoni, credessero stabile quell’ordine di cose mostruoso, e si agitassero sul sodo per organizzare questo sciame di Potenze Republicane. I Curii, i Cincinnati, i Camilli nascevano come i funghi, e la moltitudine dei Proclami, delle costituzioni, e fino delle Monete Municipali era una scena. La città nostra restò fra le più saggie, ma anch’essa ebbe i suoi pazzi che non serve cavare dall’obblio che li cuopre. Io vissi ritirato in un cantone, e mai presi parte a governo veruno che non fosse quello del Papa. Ben presto però tutti quei mattezzi finirono al proclamarsi la Republica Romana la quale abbracciò la Marca e tutte le altre Provincie che erano restate alla Chiesa. In Recanati, come