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del conte monaldo leopardi 107

pose di venderlo a quel Comune. Con le comunità era un brutto impicciarsi e non volli darlo, ma il canonico suddetto mi offerì di comprarlo in proprio nome. Gliene vendei ottocento rubbia a scudi sette e mezzo fini, ed egli mi sborsò ottocento scudi, promettendo di ricevere il grano dentro novembre, e di pagare allora li scudi cinquemila e duecento residuali. Fratanto il prezzo del grano calò. Venuto il tempo della consegna scrissi per avere il denaro, ma quel canonico mi replicò che non voleva mantenere il contratto. In sostanza il canonico, senza che io lo sapessi, aveva contrattato per il Comune, ignoro con quali patti, e per mala fede del Comune, o perchè quei patti non erano chiari, egli, forse involontariamente, mi usava quel tratto vergognoso. Io conoscevo lui solamente, e scrivevo, minacciando di chiamarlo in giudizio, quando eccoti un ordine del generale francese comandante in Ancona diretto al comandante di questa piazza, cui si ingiungeva che mi obbligasse di restituire sul punto li scudi ottocento ricevuti, overo mi spedisse arrestato in quella fortezza. Non esitai un momento e solo domandai di andarvi senza l’accompagno della forza, ciò che questo comandante accordò cortesemente, previa la sicurtà fatta per me pure graziosamente dal Presidente di questa Municipalità, allora Giovanni Tati sartore. Alla mia buona moglie tacqui la causa del mio viaggio per non angustiarla, ed ella si contentò di non so quale pretesto gli addussi ancorchè mi vedesse partire con un tempo orribile, e con un ghiaccio nelle strade che faceva paura. In quegli anni giovanili il persuaderla era facile; adesso mi leverebbe le lettere dalle tasche, mi farebbe un processo, metterebbe a rumore tutto il paese se io gli tacessi la causa di un sospiro, e in fine del conto saprebbe quello che le giovava di ignorare.

Giunto in Ancona, mi venne insinuato che un certo