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del conte monaldo leopardi 143


LXIV.

Assedio di Ancona.

Nel giorno in cui si commise quella carnificina mi trovai in Camerano presso non so quale Commissario, in servizio del Comune. Tornato a casa e sentendo che fra poco la piazza di Ancona si arrenderebbe, risolvetti di andare a vedere il campo di assedio, non tanto per curiosità, perchè sono stato sempre poco curioso, quanto per poter dire di avere veduta una cosa che in questo Stato nostro pacifico non accade in più secoli. Mia moglie si oppose, ma questo punto lo vinsi io, o perchè mia moglie non si curò di vincerlo, o perchè io non mi ero ancora rassegnato a perderli tutti. La suddetta venne con me, e alloggiammo alla meglio nella casuccia di un villano, alquanto lontana dalla piazza ma sotto il tiro del cannone. Le ostilità, vere o affettate, continuavano, e le palle e le bombe strisciavano e cigolavano non raramente al fianco nostro e sopra di noi. Resto ancora meravigliato come mai essendo io cautissimo e timidissimo potessi espormi a quel pericolo, ma l’esempio seduce, e l’abitudine rende familiare qualunque situazione. Inoltre per la tanta allegria di vederci liberi dai Francesi eravamo tutti ubriachi, e non pensavamo ad altro. Dormivamo tranquillamente sotto la bocca del cannone come sotto l’ombra di un olivo pacifico. Credo che in vita mia questo fu l’unico pericolo al quale mi sono esposto volontariamente, e riconosco per un tratto della providenza se quella pazzia non ebbe conseguenze disgustose.

Il materiale dell’accampamento non era bello perchè la stagione piovosissima, e la campagna montuosa e alberata non lasciava vedere un posto dall’altro. Buona parte dei soldati si era cavate delle tane sotto terra, e l’occhio dello