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scono la società, civilizzano i costumi, rendono familiari le frasi buone e le eleganze della lingua, e servono anche non di rado la religione, imponendo il parlarne in certe adunanze con alti e rispettosi concetti. Insomma se le accademie non servono come scuola di ben poetare, mi pare che servano come scuola di ben vivere, e stimo utilissimo il coltivarle massimamente nei paesi piccoli, nei quali difficilmente possono ottenersi altre instituzioni equivalenti. La nuova accademia in pochi giorni trasse dalle ceneri la antichissima accademia dei Disuguali sorta qui nel 1400, e solo da pochi anni giacente, e, fatta una istessa con quella, fiorì per tre o quattro anni finchè ebbe sede in casa mia, ed io ne sostenni le spese, e ne ebbi cura paterna. Sembrandomi però che taluno ravvisasse quel domicilio dell’accademia come un orgoglio mio personale, la emancipai, e traslocata al Palazzo del Comune i nuovi suoi direttori la lasciarono perire sollecitamente.

LXXII.

Amministrazione dell’Annona.

In questi tempi l’Annona era una calamità gravissima per tutto lo Stato, ma per intenderne l’importanza bisogna risalire ad epoca più lontana. Alcuni secoli addietro ciascheduno dei nostri paesi constituiva una Republica separata, e tutte queste Republiche riconoscendo sotto alcuni rapporti la sovranità della Chiesa, in tutt’altro erano indipendenti, si governavano con le leggi proprie, provedevano a sè medesime come stimavano meglio, e il Principato non si imbarazzava nelle loro facende. Come dunque attualmente i governi prendono le misure opportune perchè lo Stato sia proveduto di vettovaglie, così allora i singoli paesi pensavano