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del conte monaldo leopardi 167

rabile di dispiaceri. Agli amici doniamo pure liberamente finchè si può, ma la sicurtà non deve farsi nè agli amici, nè ai fratelli, nè per rispetto umano, nè per alcuna sorte di compassione, essendo della più indubitata certezza che ogni sicurtà è seguita dal pentimento. Il giorno 4 di Maggio di quest’anno 1801 entrato nella mia camera un basso ufficiale di soldati, mi presentò una carta che io lessi, e vidi essere un mandato di arresto contro di me per la somma di duemille e cento scudi. Alcuni anni prima mi ero reso fidejussore del sig. Ugo Luigi Urbani, e non avendo esso pagato il suo debito alla scadenza, il creditore lasciando in pace lui che difficilmente avrebbe potuto pagare, si era rivolto contro di me, e mi faceva la brutta burla di farmi arrestare inaspettatamente. Allora si potevano stipulare certe scritture o polize dette spiritate, con le quali si otteneva il mandato non già citando il debitore personalmente ma attaccando la citazione in Roma alla porta del Tribunale. Di tal sorte era la poliza che io avevo firmata senza conoscerne l’importanza, e non mi rammentavo più neppure di averlo fatto, sicchè la intimazione del soldato fu per me un colpo di fulmine. Sbigottito, e quasi disperato per la situazione mia, e per il rammarico conseguente della famiglia, mi raccomandai all’ufficiale, e lo trovai più umano o più accorto di quanto dovessi aspettarmi poichè si contentò di differire la esecuzione due giorni. Egli non avrebbe potuto farlo, e in quel tempo io poteva o ritirarmi in una chiesa, o partire, ma quell’uomo ebbe compassione di me, e forse conobbe bene che per quella somma non avrei compromessa la mia libertà, e molto meno la mia parola. Fratanto dandomi io tutte le premure per accumulare quel denaro, spedii pure al creditore implorandone respiro, ma lo negò crudamente, e già il soldato stretto da nuovi ordini non poteva più differire, quando io accozzata la somma, la