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del conte monaldo leopardi 11


XI.

L’antico metodo non deve cambiarsi.

Tornando alla mia scuola, sette anni intieri fui condannato a combattere con la grammatica del Porretti, e non appresi la lingua latina in un tempo in cui con altro metodo avrei imparate tutte le lingue dell’Europa e dell’Asia. Quella dissipazione di fatica e di tempo mi riuscì sommamente fatale, perchè quantunque in seguito abbia io voluto leggere e intendere i migliori autori della latinità, e scritta pure io qualche cosuccia in latino, tuttavia scorsi gli anni addattati a quella sorte di studii non mi è riuscito di rendermi familiare quella lingua, che fu e sarà sempre la base di ogni sapere, e il fonte inesauribile di diletto e decoro per quelli che la possederanno perfettamente. Stridano pure coloro che in questi tempi dannati a ogni sorte di rivoluzione, vogliono sovvertire l’antico metodo di insegnamento, ed escludere lo studio della lingua latina dal rango delle discipline più utili, o per lo meno posporlo a molte altre giovanili istituzioni. Non sarà uomo dotto e grande chi non possiederà la lingua latina, e non la possiederà chi non l’avrà studiata e coltivata nei primi anni della adolescenza. Si inventino pure quanti metodi e grammatiche si possono immaginare si dovrà sempre viaggiare per lo spineto delle regole e delle eccezzioni grammaticali e lo studio della lingua latina lungo e noioso esigerà sempre una pazienza ed una docilità delle quali è solamente capace l’infanzia. Non è vero che i fanciulli indispettiti per quelle angustie si accostumino ad abborrire lo studio, nè che quegli anni loro possano venire impiegati con maggiore utilità