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22 autobiografia

stretto certissimamente senza la mia vergogna e la mia inesperienza. Una sera un cavaliere probo e gioviale sedendo vicino alla Damina mi chiamò e mi disse alla sua presenza «Poichè tutti lo sanno confessami qui che tu fai all’amore colla contessina Teresa». Io con le brace nel volto dissi, «Non è vero», e fuggii; la giovane se ne offese, e quel momento che poteva legarci per sempre fu la tomba della nostra corrispondenza. La damina cominciò a non curarmi, io di lì a poco venni ricondotto alla Patria, e tutti i miei sospiri, i miei pianti, i pensieri, le veglie, li sguardi, le lusinghe e i delirî amorosi andarono a collocarsi nel mondo delle follìe. La Providenza non aveva decretata la nostra unione e ciò fu senza meno per il nostro meglio, ma mi compiaccio di potere rammentare quei tempi senza rimorso.

XVII.

Alla gioventù non si nieghi qualche denaro.

Le pene amorose non furono le sole che contristarono la mia dimora in Pesaro ma vi sperimentai altra sorta di angustie sconosciute fino a quel tempo. I miei congiunti mi educavano nella abbondanza e quasi nella profusione di tutto e inoltre ero libero a sodisfare qualunque capriccio perchè tutti gli artieri obbedivano alle mie ordinazioni, tutti i mercanti e bottegai mi davano quante merci domandavo, e i miei tutori pagavano tranquillamente. Nessuno però mi dava denaro, e questa mancanza tollerabile appena nella casa paterna, era desolante in tempo di lontananza. Generoso per natura forse un po’ troppo, e trovandomi in società numerose e brillanti, il giuoco, il caffè, ed altre emergenze quotidiane mi rendevano necessaria qualche piccola spesa,