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del conte monaldo leopardi 85

Senza questo fatto potrei gloriarmi di non avere disubbidito alla madre nelli quarantacinque anni che ho vissuti con Lei e non avrei portato per tutta la vita un castigo severissimo di quella colpa. Iddio avrebbe cambiato il suo cuore, e diretti gli avvenimenti al bene di tutti, ed io non proverei il rossore di avere resistito alle preghiere di mia madre genuflessa avanti di me.

Stabilitosi il giorno del matrimonio, e ordinatesi le publicazioni consuete, volevo prevenirne il mio vecchio prozìo, ma egli andando in chiesa alla Messa vi sentì l’annunzio delle mie nozze. Quell’uomo carissimo, in luogo di dolersi della mia preterizione, venne subito a rallegrarsi con me, e sentendo allora per la prima volta le opposizioni domestiche disse che tutti avevano torto, e io solo avevo ragione. Sento ancora vergogna indicibile perchè questo zio amatissimo apprese come uno del popolo la notizia della mia risoluzione ma prima io gliela avevo occultata per non disgustarlo, e in quella mattina uscì di casa senza che io potessi prevederlo.

Riuscendo vano ogni tentativo per ottenere il consenso di mia Madre e de’ zii, giudicai che fosse male a proposito condurre la sposa in casa, tanto per risparmiare affanno ai congiunti che amavo, e rispettavo sempre, quanto perchè la sposa istessa non dovesse trovarsi amareggiata entrando in una casa nella quale tanti non la volevano. Presi dunque un appartamento nella città di Pesaro e risolvei di recarmi immediatamente colà, coll’animo di restarvi o poco, o molto, o sempre. Il tempo e le circostanze avrebbero dato consiglio.

La sera delli 26 di settembre precedente al giorno nuziale si scrissero i capitoli matrimoniali in casa Antici con le formalità consuete, e con l’intervento dei parenti, e di tutta la nobiltà. Della famiglia mia vi intervenne il