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cui m’avea empiuto lo stomaco, e riavutomi alcun poco, corsi su e giù per la spiaggia, contorcendomi le mani e battendomi testa e faccia e sclamando nella mia miseria e gridando forte: Son disperato! son disperato! finchè spossato e debole fui costretto stendermi sul terreno per riposare, ma non ardii prender sonno per la paura di essere divorato.»

Alcuni giorni appresso, e dopo essere stato a bordo del vascello per ritrarne quante cose potei, non avrei avuto testa per fare un giornale meglio che nei primi giorni, perchè non poteva starmi dal salire su la cima di un monticello e di guardar fiso il mare con la speranza di vedere un qualche vascello. La fantasia mi dipingeva una vela ad una distanza immensa, ed io pascendomi di questa speranza mi metteva con gli occhi immobili a rischio quasi di perderli; poi mancatami d’un tratto questa speranza, mi buttava seduto in terra, piangeva come un fanciullo e il mio stato di demenza accresceva la mia desolazione.

Ma giunto a superare fino ad un certo grado questi travagli, assicuratomi un’abitazione, e allogate le mie sostanze, fattomi una tavola e una scranna, arridendomi all’intorno quella poca felicità che era da sperare nel caso mio, principiai a tenere il mio giornale, di cui qui vi presento una copia, benchè vi troverete la ripetizione di alcune particolarità già descritte. Esso non è più lungo del tempo che durai a scriverlo, perchè, mancatomi l’inchiostro, dovei dimetterne il pensiere.

30 settembre 1659. Io povero miserabile Robinson Crusoe naufragato, durante una spaventosa burrasca, dall’impeto delle onde fui gettato a terra in una orribile e sfortunata isola che chiamai l’Isola della disperazione. Gli altri miei compagni del vascello rimasero annegati, io poco meno che morto.

Passai tutto il rimanente della giornata nei disperarmi su le tremende condizioni a cui mi vidi ridotto, perchè io non aveva nè cibo, nè casa, nè panni per cambiarmi, nè luogo ove rifuggirmi. In quella disperazione d’ogni soccorso io non vedeva se non la morte dinanzi a me, o rimanessi divorato dalle fiere o trucidato dai selvaggi, o perissi di fame per mancanza di nutrimento. Al sopraggiugnere della notte dormii sopra un albero per la paura di essere sorpreso da esseri malefici, fossero uomini selvaggi, fossero belve; pure dormii profondamente, benchè piovesse tutta la notte.