Pagina:Avventure di Robinson Crusoe.djvu/135

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robinson crusoe 111

Ed anche in appresso, quando non potei essere insensibile all’evidente orridezza della mia posizione, di essere cioè gettato in sì spaventoso luogo, fuori d’ogni consorzio del genere umano, senza speranza alcuna d’aiuto o di riscatto, non appena vidi una probabilità di poter vivere e di non morire dalla fame, ogni affetto di costernazione si dileguò dal mio animo; cominciai ad essere di più lieto umore, dandomi ai lavori più adatti alla mia salvezza ed al mio mantenimento, e tenendo ad una buona distanza da me quel cruccio che dovea derivarmi dal riguardare il mio stato presente siccome una giusta punizione del Cielo; oh! questi pensieri mi passavano per il capo ben rare volte.

Il germogliare improvviso del grano, di cui feci menzione nel mio giornale, produsse su le prime qualche picciolo effetto su l’animo mio, e cominciava ad eccitarvi affetti di una maniera più solenne; ma ciò fin tanto che durò in me la persuasione di alcun che di miracoloso. Appena questa persuasione fu rimossa, si dileguò l’impressione ch’essa avea fatto nascere, come ho già notato. Lo stesso dicasi del tremuoto. Benchè non siavi cosa nè più terribile in sè stessa nè più atta a volgere subitamente le umane menti verso quel potere invisibile che solo regola l’universo, pure appena ne fu andata via la paura, se ne andò seco l’impressione ch’esso aveva eccitata in me. Io così poco sentiva Dio e i suoi giudizi, molto meno poi il venirmi dalla sua mano le mie tribolazioni d’allora, come se mi fossi trovato nella più prospera condizione di vita che si fosse potuta immaginare.

Ma questa volta, quando caddi infermo e l’immagine delle calamità, della morte, venne grado grado a pormisi innanzi; quando i miei spiriti principiarono a sentirsi depressi sotto il peso di una gagliarda malattia, e la natura fu esausta dalla violenza della febbre, or si la coscienza rimasta dormigliosa si lungo tempo comincio a risvegliarsi; or sì rimproverai me medesimo di avere con la straordinaria perversità della trascorsa mia vita così evidentemente provocata la giustizia di Dio che mi puniva col sottomettermi ad angosce proporzionate soltanto ai miei falli. Furono queste le considerazioni che mi oppressero nel secondo e nel terzo giorno della mia infermità e che, nella violenza così della febbre come de’ rimorsi della mia coscienza, mi trassero alcune parole di preghiera a Dio. Ma io non posso dire se queste preghiere fossero l’espressione del mio desiderio di guarire o della mia fiducia nell’ente pregato: