Pagina:Avventure di Robinson Crusoe.djvu/238

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quando vi furono, continuai a perfezionar la mia siepe finchè vidi questi animali in sicurezza come quelli degli altri parchi; il qual lavoro nondimeno, avendolo fatto più adagio, mi portò via un tempo molto maggiore.




Sospetti avverati.



A

tutte queste fatiche io poneva mano veramente per le paure eccitate in me dalla impronta d’un piede d’uomo; chè finora io non avea veduto alcuno avvicinarsi all’isola. Ciò non ostante la sola paura, come dissi, mi avea già fatto passar due anni d’una vita assai più sconfortata della precedente: cosa che s’immaginerà chiunque sappia che cosa voglia dire vivere sotto le strette della paura. Nè qui tacerò, benchè con mio grave rammarico io lo dica, che tal disordine della mia mente produsse di ben tristi effetti su la parte religiosa de’ miei pensieri; perchè la tema, il terrore di cader nelle mani di selvaggi e cannibali pesava tanto sul mio spirito, che rare volte io mi trovava nella debita disposizione per volgerlo al mio creatore, o almeno io non faceva ciò con quella posata calma e rassegnazione d’animo ch’io era solito sentire in me nel tempo andato. Io pregava Dio com’uomo oppresso dal peso di una grande afflizione e costernazione, com’uomo cinto di pericoli d’ogni intorno e che si aspettava ogni notte di essere ucciso, ogni mattina di essere divorato. Posso dire dietro l’esperimento fattone su me stesso, che una disposizione pacifica, grata, lieta, affettuosa è molto più propria alla preghiera che quella d’un animo scompigliato ed atterrito. Sotto lo spavento di una sovrastante disgrazia un uomo non è meglio inchinato alla preghiera di quanto sia alla penitenza in tempo di malattia, perchè quei mali travagliano la