Pagina:Avventure di Robinson Crusoe.djvu/251

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robinson crusoe 211

il menomo segnale desse loro a congetturare che vivessero nell’isola creature viventi d’umana forma. Unitisi in ciò i riguardi della religione con quelli della prudenza umana, fui ora convinto sotto più d’un aspetto ch’io era affatto giù della buona strada, quando immaginava i miei sanguinari espedienti di distruzione contra ad innocenti creature: intendo innocenti rispetto a me. Quanto alle colpe, di cui si rendeano colpevoli gli uni verso degli altri, io non avera niente che fare con loro; erano colpe nazionali, ed io dovea lasciare che le punisse la giustizia di chi primo governa le nazioni, e conosce quali nazionali castighi si competano a colpe nazionali; di chi sa, per quelle vie che meglio piacciono alla sua divina saggezza, emanare sentenze esemplari su coloro le colpe de’ quali portarono pubblico scandalo.

Queste cose or mi apparivano sì chiaramente, che non vi era maggiore soddisfazione per me del pensare alla bontà di Dio, poichè con la sua grazia m’avea tenuto lontano dall’accingermi ad un’azione che io vedeva ora con tanta chiarezza che sarebbe stata scellerata non men di quella d’un abbietto assassino, se l’avessi commessa. Prostratomi quindi, resi umili grazie al Signore che mi avea così liberato da un delitto di sangue; supplicando fervorosamente la protezione della divina sua providenza sì per non cadere nelle mani dei barbari, e si per non gittare mai le mie mani su loro, ogni qualvolta la necessità di difendere la mia vita non divenisse per me una potente voce del cielo che a far questo m’incoraggiasse.

In tale disposizione d’animo io mi mantenni per circa un anno intero: sì lontano dal desiderare un’occasione per assalire quegli sgraziati, che in tutto questo tempo non andai una sola volta su la collina per iscoprire se vi fosse qualcuno di loro a veggente della spiaggia, o se vi fosse sceso; e ciò per non esser tentato a rinnovare alcuno dei miei antichi disegni contro di essi, o provocato ad assalirli da qualche istantanea opportunità che si offrisse da sè medesima. La sola gita ch’io feci, fu per levare la mia piroga ch’io avea lasciato al lato opposto, e condurla all’estremità orientale dell’isola; quivi io la feci entrare in un piccolo seno protetto da alti scogli ove io capiva che per timore delle correnti i selvaggi non oserebbero, o almeno per qual si voglia motivo non vorrebbero penetrare co’ loro canotti. Entro la mia navicella io trasportai quante cose spettanti ad essa vi aveva lasciate, ancorchè non necessarie pel semplice motivo di condurla fin lì: di tal natura erano un albero ed una vela ch’io