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robinson crusoe 215

Scoperta di una caverna.



C

redo che il leggitore non farà le maraviglie se gli dico che queste ansietà, questi costanti pericoli tra cui vivea, e le cure alle quali dovea or attendere, posero un termine a tutti i miei trovati, a tutte le industrie da me fin ora seguitate per procurarmi maggiori agi e comodi per l’avvenire. La mia salvezza mi stava or più a cuore dello stesso mio nutrimento. Non m’arrischiava a piantare un chiodo o ad abbattere un ramo d’albero per paura di far tale strepito che fossi udito: molto meno, per lo stesso motivo, a sparare un moschetto; soprattutto io era di mala voglia oltre ogni dire nell’accendere ogni sorta di fuoco, paventando che il fumo, visibile a grandi distanze nell’ora del giorno, arrivasse a svelarmi. Trasportai quindi quella parte di mie manifatture che abbisognavano di fuoco, come la fabbrica di pentole e pipe di terra cotta, alla nuova stanza sceltami per un’ultimo ricovero della mia greggia nel mezzo de’ boschi, ove dopo esservi stato non so quante volte, scopersi con ineffabile gioia una caverna sotterranea, scavata dalla natura, estesissima, e dentro la quale, oso affermarlo, non avrebbe avuto il coraggio di avventurarsi verun selvaggio che fosse venuto alla bocca di essa, nè da vero verun altr’uomo fuor di chi avesse avuto necessità, come me, di procurarsi un luogo sicuro di ritirata.

La bocca di questa caverna sottostava ad un enorme dirupo, al cui piede, (per mero caso direi, se non avessi avuto sì grandi motivi di attribuire tutto quanto mi occorreva alla Provvidenza) io me ne stava tagliando alcuni rami d’alberi per far carbone. E qui prima di andare innanzi mi è d’uopo fermarmi per indicare le cagioni che m’inducevano a tal nuovo lavoro.