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220 | robinson crusoe |
si rintanarono ne’ boschi ove divennero salvatici, salvo due o tre gattine favorite che mi mantenni domestiche e i cui parti, quando ne avevano, annegava sempre; queste faceano parte della mia famiglia. Inoltre mi venivano sempre attorno due o tre capretti domestici ch’io avea avvezzati a ricevere il cibo dalle mie mani. Avea pure due altri pappagalli che parlavano assai bene, e dicevano anch’essi Robin Crusoe; ma non mai così aggiustatamente come il mio primo; nè per vero dire io mi avea mai per essi preso le cure che mi diedi del primo. Io m’avea anche avvezzato diversi uccelli acquatici di cui non conosceva i nomi, ed ai quali aveva tagliate le ali nel prenderli su la spiaggia. I sottili pali ch’io aveva piantati dinanzi alla mia fortezza erano cresciuti al grado di formare un bel folto boschetto; questi uccelli vivevano svolazzando fra que’ bassi arbusti e vi faceano i loro nidi, che era una delizia per me. In somma, come ho notato altra volta, io avrei cominciato propriamente a dirmi un uomo contento, se avessi potuto guarentirmi dal timore dei selvaggi.
Ma altrimenti era decretato dal cielo, nè tornerà inutile per chiunque s’abbatterà a leggere la presente mia storia, il dedurne una adeguata osservazione. Quante volte nel corso di nostra vita quel male da cui più cerchiamo schermirci e che, quando ne siamo percossi, ci sembra terribile oltre ogni dire, diviene il vero mezzo o l’origine della nostra liberazione e il solo aiuto che può sollevarci di nuovo dalla calamità in cui siamo caduti! Potrei citar molti esempi a confermare tal verità per tutto il corso della mia pressochè incredibile vita: ma niuna parte di essa ne offre di così notevoli come gli ultimi anni della mia solitaria residenza in quest’isola.