Pagina:Avventure di Robinson Crusoe.djvu/356

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306 robinson crusoe

Colloquio co’ prigionieri.



I

o divisava dunque, come ho detto, di non rischiar nulla prima dell’imbrunire: ma alle due circa dopo il mezzogiorno, avendo perduti affatto di vista i miei galantuomini che si erano internati vagando nel folto delle boscaglie, dal caldo eccessivo dell’ora argomentai che si fossero sdraiati per dormire. Que’ tre poveri sgraziati, angosciati troppo dalla condizione in cui si trovavano per poter prendere sonno di sorta alcuna, cercavano ciò non ostante una specie di riposo seduti all’ombra di un grand’albero lontano a un dipresso un quarto di miglio da me, e fuor di vista, sembrommi, alle cagioni della loro sventura. Su tal fondamento risolvei di mostrarmi ad essi, per conoscere una volta lo stato delle cose. M’incamminai tosto nella figura che vi ho descritta, seguendomi ad una buona distanza Venerdì armato come me, ma non quanto me in lampante figura di spettro. Feci il possibile per accostarmi loro senza che mi vedessero prima di udirmi parlare, e quando mi credei abbastanza vicino, gridai loro ad alta voce e in lingua spagnuola:

— «Nobili signori, chi siete?»

Balzati subito in piè allo strepito che feci, li rese dieci volte più sbalorditi il cattivo stampo della mia figura. Non mi risposero nulla del tutto, ma credei vedere in essi la disposizione di battersela di lì, quando dissi loro in inglese:

— «Gentiluomini, non vi smarrite al vedermi. Forse vi sta vicino un amico, quando meno ve lo aspettavate.

— Bisognerebbe ben dire che ci fosse mandato proprio dal cielo, disse gravemente uno dei tre facendomi di cappello, perchè la nostra condizione non è capace d’aiuto umano.