Pagina:Büchler - La colonia italiana in Abissinia, Trieste, Balestra, 1876.pdf/122

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e bagaglio e col proprio contingente di mandre, così fu loro concesso che potessero, soltanto per alcuni giorni, soffermarsi, allo scopo di ristorare ai nostri pascoli le loro bestie e rimetter sè medesimi dai disagi sofferti nel faticoso cammino.

I lavori di costruzione intanto progredivano, nè io desisteva dall’idea di compiere il mio castello; anzi formai il progetto di innalzarvi una capanna che aderisse a quello, per avere un ricovero vicino finchè l’edifizio-fortezza fosse stato condotto a buon termine. Quella capanna però me la costrussero gl’indigeni alla loro usanza, rotonda di forma e ben coperta di paglia da tutti i lati. E vi si prestarono anche di buon grado, non risparmiando ingegno nè fatiche, per farmi piacere; giacchè, se debbo essere sincero, io era ad essi simpatico, e tra alcuni di loro e me passava, quasi potrei dire, una specie di amicizia.

Due di coloro, i quali mi assistevano alla costruzione del forte, dormivano persino nella mia stessa capanna ed erano meco, sia di giorno che di notte, in continui rapporti.

Il padre Stella aveva pure la sua abitazione presso a quelle degli indigeni, ed in essa ci raccoglievamo giornalmente nelle ore di riposo a conversare, ed in ispecie alla sera. Allora le riunioni divenivano interessanti sia per gli argomenti che si trattavano, sia per le distrazioni che ci procuravamo a vicenda, come per i canti che intuonavamo assai di sovente.

Intorno, intorno, gl’indigeni mantenevano accesi i fuochi tutta la notte, e, noi stessi compresi, si montava la guardia per turno, allo scopo di garantirsi tanto dalle aggressioni degli animali, quanto dalle sorprese dei nemici o degli scorridori.