Pagina:Büchler - La colonia italiana in Abissinia, Trieste, Balestra, 1876.pdf/88

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in particolare trovavansi in uno stato deplorevolissimo. Mentre ognuno era intento ai fatti suoi, gl’indigeni che stavano alle vedette si allarmarono; presero le loro lancie e, dopo aver parlato al signor Stella, ci lasciarono.

Questi ci comunicò la cosa, e ci ordinò di tenerci pronti, imperciocchè dalle vicine alture eravamo stati spiati, e certamente eravamo in procinto di venire assaliti. Dietro agli indigeni, il signor Stella spedì alcuni servi ad esplorare e a riferire.

Dal canto nostro eravamo già pronti; solo il piemontese Colombo, rosicchiando ancora qualche osso del cinghiale, andava brontolando e masticando tra i denti il proverbiale countac! Vengano, vengano, esclamava, e daremo loro ad assaggiare le nostre palle di piombo. Countac, che schiammazzo!

Ed invero il tramestìo facevasi distinto, la lotta pareva impegnata; ma il signor Stella non ci aveva ancora ordinato di avanzare. Io, rivolto a Colombo, che sbuffava per la smania di battersi, gli dissi ridendo: calmati, calmati, bugia nen; eccoli, eccoli... ci siamo! — Il signor Stella rideva di gran voglia, e Glaudios, con tanto d’occhi sopra di noi, meravigliava del nostro sangue freddo, e stava osservando ogni gesto che facevamo.

Il sito in cui ci trovavamo è chiamato Dardè, e da esso a Sciotel era appunto l’estensione della proprietà a noi concessa in possesso pei nostri scopi, dal principe abissino Ailo.

Stavamo ancora scherzando e burlandoci a vicenda, allorchè udimmo la voce dei servi del signor Stella che se ne tornavano canterellando, ed emettendo esclamazioni di trionfo per aver dato la fuga a chi era venuto ad assalirci. Ci avevano scambiato per pastori, ed una piccola schiera di predoni s’era avanzata per rubarne il