Pagina:Baccini - Memorie di un pulcino, Bemporad & Figlio, Firenze, 1918.djvu/12

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dolare in un gran campo pieno d’ogni ben d’iddio; alberi di qua, alberi di là, ciliegie grosse grosse, carciofi, baccelli, piselli, tanti da non saper dove se li mettere; grano poi! ce n’era da sfamare una mezza città, a quel che diceva Giampaolo, un contadinone lungo come una pertica, che tutti di casa riverivano e chiamavano maestro.

Era lui quello che teneva le chiavi della dispensa, del granaio e della cantina; ma non c’era pericolo, no, che se ne tenesse di tutti quegli onori; anzi era affabile, buono e alla mano più degli altri; anche con noi pulcini se la diceva; e spesso, spesso, quando gli andavamo fra’ piedi, ci sbriciolava una bella midolla di pane.

Peraltro, il pulcino a cui tutti volevano più bene ero io; e la ragione non l’ho mai saputa; forse, mi si perdoni la superbia, sarà stato perchè non ero scontroso come i miei fratellini.

Quando Giampaolo, la massaia o anche la Mariuccia, figliuola di quest’ultima, mi venivano incontro, non scappavo mai; mi lasciavo pigliare ed accarezzare finchè fosse loro piaciuto; sicuro, se invece avesse voluto acchiapparmi qualche monello, tanto per tirarmi la coda o le penne, avrei fatto come gli altri: me la sarei data a gambe, e chi s’è visto s’è visto; ma con quella buona gente potevo star sicuro che male non me l’avrebbero fatto neppur per celia.

La sera, poi, quando la mamma ci chiamava per andare a letto, ero sempre il primo a obbedire; e se vedevo che i miei fratelli si facevano aspettare, mi sentivo limar lo stomaco; infatti com’è possibile il fare star in pensiero la mamma?