Pagina:Baccini - Memorie di un pulcino, Bemporad & Figlio, Firenze, 1918.djvu/26

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Feci come dissi.

Nel corso del giorno badavo al fatto mio, senza curarmi nè punto nè poco dell’ospite; quando mi si avvicinava per attaccar discorso, lo salutavo con garbo, e, pulitamente con una scusa o con l’altra, lo lasciavo solo.

La sera, quando la mamma mi faceva qualche domanda in proposito, com’ero contento di poterle dire:

— Per obbedirti ho fatto questo e quest’altro.... Vedi eh, se ti voglio bene? —

— E quella buona creatura ad accarezzarmi e a farmi mille feste. Sentite, bambini, io ho assaggiato molte cosette buone, perfino i confetti e lo zucchero; ma vi assicuro che le carezze della mamma vincono in dolcezza e i confetti e gli zuccherini.

Così passò del tempo. Il galletto non s’affiatava con nessuno; era scontroso, impertinente e maligno, e tutti naturalmente, lo vedevano di mal occhio; perfino la Marietta che non avrebbe fatto male a una mosca, gli diceva spesso spesso:

— Ti ci vedrò in pentola, cattivacelo!

— Non credo che la padroncina facesse bene a buttar fuori quelle parole, le quali, a chi l’avesse poco conosciuta, non avrebbero certamente offerto una prova molto rassicurante del suo buon cuore, ma quella bestiuola, bisogna esser giusti, glie le strappava proprio dalla bocca con que’ suoi brutti modi.

Qualcuno gli andava incontro o per vederlo o per accarezzarlo? E il galletto subito a impennarsi, ad aprir le ali e a schiamazzar rumorosamente, come se avessero voluto mangiarlo.