il
fio delle colpe de’ maggiori. È giustizia? Non lo so. Certo, è
abitudine, e sará finché duri mondo. E noi non saremo ammessi a
lagnarcene, finché si rinnoveranno, men frequenti che a’ secoli
decimoquarto o decimoquinto, ma troppe ancora pel decimonono, simili
nefanditá. Né queste poi torceranno il secolo nostro dalle monarchie
rappresentative, piú che quelle dei maggiori torcessero il loro dalla
signoria assoluta. — Ad ogni modo, l’etá dei comuni repubblicani è qui
finita. Firenze, Siena, Lucca, Genova, Venezia sopravvivon sole.
Coloro che prolungano l’etá repubblicana quarant’anni ancora, fino
alla caduta di Firenze, la potrebbon prolungare sessanta, fino a
quella di Siena, o fino a’ nostri dí, quando caddero le tre ultime;
ovvero dir che durano le repubbliche anch’oggi, in San Marino. In nome
d’Italia, lasci di guardare ciascuno all’idolo suo; guardiamo alla
patria tutta intiera, alla condizione universale, alle importanze
principali, anche scrivendo. — E cosí facendo, concorderemo poi con
tutti gli scrittori contemporanei in dire: principio, èra dei nuovi
guai d’Italia, del massimo di tutti, la venuta di nuovi stranieri che
seguí d’appresso alla immatura morte di Lorenzo de’ Medici (all’etá di
quarantaquattro anni, 8 aprile 1492). Come gran cittadino
repubblicano, Lorenzo non pareggiò Cosimo certamente: fu men modesto,
s’accostò piú al principato; e cosí, invece di quel gran titolo di
«padre della patria», non gli rimase che quello, volgare allora, di
«magnifico». Com’uomo di Stato poi e grande italiano, se Cosimo fu
l’inventore, l’ordinatore della grande unione di Milano, Firenze e
Napoli (quell’unione, quella politica che valse, che fu una vera
confederazione italiana), Lorenzo ebbe pure il merito di mantenerla in
condizioni fors’anche piú difficili, con uomini certamente molto
minori, anzi cattivi; di serbarla, quando pericolante; di rinnovarla,
ad ogni volta che si venne guastando. E il fatto sta, che mutando nomi
o luoghi speciali, secondo le occorrenze, questa unione di tre grandi
principati nazionali del settentrione, del mezzo e del mezzodí
d’Italia, è forse la sola confederazione possibile in Italia, la sola
che possa salvare o rivendicare mai la nazionalitá di lei. Certo, era
la sola a que’ dí; e, spento Lorenzo, ella si spense