Pagina:Balbo, Cesare – Storia d'Italia dalle origini fino ai nostri giorni, Vol. II, 1914 – BEIC 1741401.djvu/249

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nota 245


Un fenomeno, ripetuto con tanta frequenza in un uomo che era uno storico nato, induce a riflettere e a domandare: era proprio un bel titolo o una soddisfacente ripartizione cronologica ciò che mancava al Balbo, o a lui faceva difetto qualcos’altro, di cui egli non riusciva a rendersi conto, e in cui tutte le torture, che s’era procurato apparentemente per questa e per quello, avevano la loro vera e profonda ragione? La risposta non può esser dubbia, e a chiunque abbia un po’ di pratica dello scrivere verrá spontanea sulle labbra l’osservazione, che il trapasso dalla mera impressione alla limpida visione artistica — quel trapasso rapidissimo e agevole in alcuni fortunati scrittori; lentissimo, faticosissimo e quasi patologico in altri — nel Balbo non aveva ancora avuto luogo. La storia d’Italia, non ostante tanti studi e tanti sforzi, era ancora per lui materia amorfa, che un lampo di genio doveva convertire in un’opera d’arte, ossia in un libro organico. In fondo all’animo suo era ancora un cantuccio buio, che quel lampo doveva illuminare. E tutti i conati da lui fatti non erano se non stimoli esterni, da lui inconsciamente adoperati per far sprizzare in modo artificiale quella divina scintilla. Ma l’arte non vuol esser conquistata né con la violenza né con sotterfugi: vuol venire ella stessa, spontaneamente, a noi, quando forse meno l’aspettiamo, e allora abbandonarsi tutta nelle nostre braccia. E cosí avvenne al Balbo.

S’era alla fine del 1845, ed egli, ormai vecchio, alla storia d’Italia aveva rinunziato, contento se altri, piú fortunato, potesse avvalersi del tesoro di ricerche e d’esperienza da lui accumulato. Un bel giorno si reca da lui il Predari e gli propone di scrivere l’articolo «Italia» per l’Enciclopedia popolare, che si pubblicava presso il Pomba1. Il buon vecchio sulle prime, spaventato, rifiutò netto:

  1. «Cesare Balbo, secondo narra lo stesso signor Predari [Bullett. di scienze, lett., ecc., 20 marzo 1854], ‘esitò cinque o sei mesi ad accettare l’assunto: finalmente vi si decise, violentato, per cosí dire, dall’idea, con cui perseguitammo l’animo suo, di far cosa necessaria all’Italia’. Quello stupendo lavoro fu da lui cominciato e condotto a fine in poco piú di quaranta giorni. 11 18 marzo 1846, dopo un nostro colloquio, in cui accondiscese alle pertinaci istanze nostre, ci scriveva: ‘La prego di non dimenticare di mandarmi in prestito un esemplare tagliato dell’Enciclopedia. Vorrei farmi un’idea degli altri articoli storici. E giá, pensandovi, veggo che la gran difficoltá sará il restringermi. Mi accenni il maximum delle colonne che mi sarebbe conceduto... Ella mi ha messo il diable en corps, con quel nome d’Italia, che Ella chiama mia bella, ed io direi quella scelleratissima mia bella, per non dir altro e piú con Dante’. — Otto giorni di poi il conte Balbo