Pagina:Bandello - Le Novelle, vol. 2, 1928 - BEIC 1972415.djvu/109

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ora guerra, ora bene ora male ne apporta, ora lieti ed ora di mala voglia ne fa essere, ed ora ne leva in alto ed ora al profondo de l’abisso ne fa tornare. Ti sia Siface un vivo e chiaro essempio dinanzi agli occhi che fermezza sotto al globo de la luna non si può avere. Egli era il piú potente e ricco re che in Affrica regnasse, ed ora è il piú misero ed infelice che si truovi in terra. Né per questo voglio io esserti presaga né indovina d’alcun futuro male, anzi santamente tutti i dèi prego che te e tutti i descendenti tuoi nel regno de la Numidia felicemente regnar lascino. Degnati adunque liberarmi da la servitú dei romani, e se altrimenti non puoi se non con la mia morte, io ti dico che quella mi sará gratissima. — Dicendo queste parole prese la destra mano del re e quella piú volte dolcemente basciò, e giá i preghi cominciavano in lusinghevoli e lascive carezze a voltarsi, di modo che non solamente l’animo de l’armato e vincitor giovine a misericordia e pietá mosse, ma stranamente ne l’amorose reti lo avviluppò. Il perché il vincitor da la vinta, il signore da la sua serva fu vinto e preso. Indi con tremante voce cosi le rispose: — Pon fine, o Sofonisba, al largo pianto e caccia da te la téma che hai, ché non solamente a le mani del popolo romano non verrai, ma se a te piace io per legittima moglie ti prendo ed accetto, in modo che non prigionera ma reina viverai. — E dette queste parole, lei lagrimante abbracciò e basciò. Ella al volto, ai cenni, ai gesti e a le interrotte parole de l’amante nuovo comprendendo l’animo del numida esser di ferventissimo amore acceso, per piú infiammarlo con un atto di pietade che i ferini cori de le ircane tigri aver ebbe intenerito e d’ogni fierezza spogliato, di nuovo se gli lasciò cader a’ piedi, e quelli cosi armati basciando e con caldissime lagrime irrigando, dopo molti singhiozzi ed infiniti sospiri, essendo da lui sollevata, disse: — O gloria ed onore di quanti regi mai furono, sono e saranno, e di Cartagine mia infelice patria mentre ella ne fu meritevole sicurissima aita e ora presente e terribilissimo spavento, se la mia fortuna dopo si gran rovina può rilevarsi, qual maggior grazia, qual cosa in tutta la vita mia piú lieta e fortunata mi può accadere che esser da te chiamata tua moglie? O me piú d’ogn’altra felice di tanto e si famoso