Pagina:Bandello - Novelle, Laterza 1910, I.djvu/26

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novella ii 23

lasciatosi vincer da lo sdegno, perse il freno de la sua pazienza e si lasciò trasportare da la grandezza de l'animo suo, parendoli che invece di dever ricever onore gli fosse biasimato e in luogo di meritar guiderdone gli era il suo ufficio levato, trascorse con agre rampogne a lamentarsi del re e a chiamarlo ingrato, cosa appo i persiani stimata come un delitto de l'offesa maiestá. Volentieri si sarebbe partito da la corte e ridutto a le sue castella; ma questo non gli era lecito senza saputa e congedo del re, e a lui di chieder la licenza non sofferiva il core. Al re da l’altro canto era il tutto apportato che Ariabarzane faceva, e quanto parlava; il perché fattoselo un giorno chiamare, come egli fu dinanzi al re, cosí Artaserse gli disse: - Ariabarzane, i tuoi lamenti sparsi, le tue amare querele or quinci or quindi volate, ed il tuo continuo rammarico, per le molte finestre del mio palazzo a l'orecchie mie sono penetrate e m'hanno fatto intender cosa di te ch'io con difficultá ho creduto. Vorrei mo saper da te ciò ch'a lamentarti t'ha indutto, che sai che in Persia il querelarsi del suo re, e massimamente il chiamarlo ingrato, non è minor fallo che biasimar i dèi immortali, perché gli antichi statuti hanno ordinato che i regi a par degli dèi siano riveriti; poi tra i peccati che le nostre leggi acerbamente puniscono, il peccato de l'ingratitudine è pur quello che acerbissimamente è vendicato. Or via, dimmi in che cosa sei da me offeso, ché ancora ch’io sia re, non debbo senza ragione ad alcuno far offesa, per ciò che non re, come sono, ma tiranno, ch’esser mai non voglio, sarei meritevolmente chiamato. - Ariabarzane, ch'era pieno di mal talento, seguendo pur tuttavia la grandezza de l’animo suo, tutto ciò che in diversi luoghi detto aveva molto del re querelandosi, disse. A cui il re cosí rispose: - Sai tu, Ariabarzane, la cagione che m'ha ragionevolmente mosso a levarti il grado de l'ufficio del senescalco? Perciò che tu a me volevi levar il mio. A me appartiene in tutte l'opere mie esser liberale, cortese, magnifico, usar cortesia a ciascuna persona, ed ubligarmi i miei servidori dando lor del mio, e rimeritarli non puntalmente a la bilancia de l’opere da loro a mio servigio e profitto fatte, ma sempre donarli di piú di ciò ch’essi hanno meritato. Io non