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IL BANDELLO

al vertuoso signore

il signor

rinuccio farnese


Non molto dopo il sacco di Roma fatto dagli spagnuoli e dai tedeschi soldati de l’imperadore, voi vi trovaste con la compagnia vostra di cavalli leggeri, essendo alora ai servigi e al soldo dei signori veneziani, nel contado de la cittá di Viterbo; ed essendo i caldi molto grandi, ché era del mese di giugno, voi invitaste a desinar con voi il signor Lucio Scipione Attellano ambasciatore del signor duca Francesco Sforza e voleste che di compagnia anch’io vi venissi. Il luogo ove quel giorno ci conduceste fu una freschissima ed agiata stanza tutta intagliata a scarpello dentro un tofo, e dinanzi al luogo v’era un bellissimo e fruttifero oliveto con una viva, fresca e chiara fontana che fuor d’un sasso ivi vicino sorgeva. Quivi adunque trovammo che v’era prima di noi giunto il gentilissimo signor Giorgio Santa Croce, col quale io aveva giá contratta lunga e dolce domestichezza quando assediandosi Milano il campo de la lega era a Lambrate e quivi d’intorno. Ora essendosi posti a tavola, si desinò con tal apparecchio e con si delicate e varie vivande e con si bell’ordine e si preziosi vini, che non in uno essercito in’campagna pareva che si fosse, ma sarebbe stato assai se il desinare si fosse fatto in Roma innanzi che ella fosse saccheggiata. Dopo desinare ragionandosi di varie cose, voi pigliaste in mano il libro de le divinissime rime del Petrarca, e leggendo alcuni sonetti si cominciò sommamente a commendar da tutti l’alto e candidissimo stile, le belle e scelte e proprie parole con la disposizione e nascosti sensi dal poeta usati. Cominciaste poi a legger nei Trionfi la bella istoria di Masinissa e Sofonisba,