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PARTE PRIMA
mie novelle ho accompagnata, non m’essendo uscito di niente
quanto volentieri quando eravamo insieme leggevate le cose
mie. Questa novella ch’io vi mando non è molto che in una
onorevol compagnia, ragionandosi de le beffe che fanno le donne
ai lor mariti, fu narrata da messer Scipione Pepolo, disceso da
messer Giovanni Pepolo dal quale il signor Bernabò Vesconte
per molte migliaia di ducati comprò Bologna in quei tempi che
la Chiesa romana risedeva in Avignone. Essa adunque novella
al nome vostro scrivo e consacro come frutto nato da uno che
è tutto vostro. State sano.
NOVELLA LIII
Beffa fatta da un contadino a la padrona e da lei al vecchio marito
che era gelosio con certi argomenti ridicoli.
Infiniti veramente son quei modi che le donne usando quando
non ben contente di quel di casa che loro non pare a suffi¬
cienza, ricercali di fuora via proveder ai casi loro; infiniti,
dico, sono i modi con che i mariti si trovano ingannati. E ben
che ciò che io ora vi vo’ dire possa esser stato da voi inteso,
nondimeno ove egli sia avvenuto non intendeste forse già mai.
Il che intendo io ora di dirvi se m’ascoltarete, come ho fede
in voi, portando ferma openione che il mio dire vi porgerà
diletto. Devete adunque sapere che al tempo del glorioso duca
di Milano il duca Filippo Vesconte, fu in Pavia una giovane
de la famiglia de’ Fornari, che fu maritata in un messer Gio¬
vanni Botticella dottore che era d'età di cinquanta anni e
più; il quale essendo molto savio per lettera, perché era legi¬
sta famoso e dottissimo, a me pare che per volgare si fosse
mostrato molto pazzo, entrando in quella età nel farnetico di
prender moglie e pigliarla giovane di meno di vent'anni. Ma
se i savi talora non errassero, i pazzi si disperarebbero. Era
la giovane, che Cornelia aveva nome, assai appariscente, con
viso assai bello e ben fatto, se ben non era il più angelico del
mondo; ma tanto era piacevole e baldanzosa e tanto ardita
che più esser non poteva. Del che messer lo dottore in breve