Pagina:Bandello - Novelle, Laterza 1910, II.djvu/422

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NOVELLA X 419 10 non lo voglio. Ma saperei ben volentieri chi è questo Navagero, ancor che essendo col mio Zenso deve esser Andrea, che intendo aver di gran lettere. — Voi v’ingannate — disse ì] Navagero, — perché io mi chiamo Pancrati. — Io non so — soggiunse il vecchio — chi usurpi questo nome se non quelli da ca' Giustiniana. So bene che i Navageri non l’hanno. — E qui fece un altro catalogo di casa Navagera. Ora la cosa andò molto in lungo con dispiacer infinito del Bembo, il quale vedeva questo suo parente, ché per tale lo credeva, in raccontar le genealogie veneziane esser un Tullio, ma nel resto dimostrarsi il maggior sciocco del mondo. A la fine il vecchio mutata la voce e il modo di parlare, ridendo disse: — Io so che séte galanti uomini a non riconoscer il vostro Girolamo pittore. Che vi venga il gavocciolo, « poè'tis quae pars est». — Fu subito riconosciuto, e risolvendosi il tutto in riso, egli se n’andò in una camera, e spogliatosi l’abito da comedia si rivesti i suoi panni e ritornò in sala, dando a tutti la baia e facendoli di nuovo molto ben ridere. Affermava il Bembo averlo sempre tenuto per 11 suo parente, ed ancor che lo vedesse si mal in arnese e cosi mal costumato, che credeva che per la vecchiaia fosse ribambito, e che in vero n’aveva una strema vergogna. Il Navagero si disperava di non averlo conosciuto, perché e in Vinegia e in Verona esso pittore a lui e. al Bembo era molto domestico. Ma sovra tutti il Fracastore era quello che non si poteva dar pace, ché tutto 'I di avendo pratica con lui e conversando familiarmente insieme e dilettandosi de le chiacchiere di quello, alora fosse si smemorato e fuor di sé che mai non gli fosse venuto in mente. Medesimamente gli altri gentiluomini veronesi che ci erano e domesticamente di continovo il praticavano, confessarono senza dubio non averlo in quell’abito buffonesco conosciuto già mai. Insomma tutta la cena fu piena di riso e di gioia, né mai il signor Pietro mi scrive — che pure per cortesia sua spesso mi manda lettere — che qui sempre non faccia menzione di questa beffa e che ancora non ne rida. Ma ora io non vo’ dirvi la beffa che fece a Massimigliano Cesare in Isprucco, che forse non fu men faceta di questa.