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IL BANDELLO

a la molto gentil signora

la signora

isabella trotta da casate

salute


Non è ancora il mese che madonna Caterina da San Celso, moglie di messer Francesco Guiringuello, morendo fu seppellita, la cui morte diede assai da cicalare a tutto Milano, perché per le molte vertuose doti che in lei erano oltre la bellezza del corpo, era degna, se pudica stata fosse, di piú lunga vita; onde su la sua sepoltura le fu attaccato quell’ingegnoso e maledico epitaffio, il quale essendo portato a la nostra signora Ippolita Sforza e Bentivoglia, vero specchio d’ogni vertú, fu cagione che de l’onestá de le donne quel tanto se ne ragionasse che alora si disse, ove voi ed io eravamo presenti. Ci furono di quelli che non troppo profondando i lor pensieri dicevano non dover esser le donne piú astrette a le leggi de la vita pudica che siano gli uomini. Altri affermavano non poter aver la donna cosa piú convenevole in lei né di piú eccellenza che l’onestá, recitando il bello e moral sonetto del Petrarca: «Cara la vita, e dopo lei mi pare», ecc. Quivi conchiusero altri che quanto piú la donna è d’alto legnaggio che tanto piú è tenuta a viver onestamente, perciò che la vita di quella è come uno specchio e norma data per essempio a l’altre di minor grado. E insomma si venne a questo, come ben ricordar vi devete, che ogni donna di qualunque stato si sia, come ha perso il nome de la pudicizia ed è tenuta impudica, ha perduto quanto di bene ella in questa vita possa avere. Il che affermando, la signora Ippolita disse che se la donna ha tutte le vertú del mondo e non sia pudica, che questa impudicizia reca seco si pestifero veleno che tutte l’altre doti ammorba; come per il