Pagina:Bandello - Novelle, Laterza 1911, III.djvu/325

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322 PARTE SECONDA di vostra figliuola e far di modo che il tutto segretamente succedesse, per non venir a la bocca del volgo. Ora veggendo che a capo di questo suo desiderio venir non può per cosa che si faccia e fatta abbia, e che non trova compenso che giova se la forza non v’usa, vi manda dicendo che se voi non prove- derete ai casi vostri, operando che ei abbia l'intento suo, che siate sicura che a mal grado vostro vi farà, publicamente e con poco onore di tutti voi, levar la figliuola con mano armata di casa, e che dove deliberava esser amico al conte e a tutti e fargli del bene, che loro sarà nemicissimo. Egli farà conoscere che cosa sa fare quando egli è adirato e s'ha messo una openione in capo, e che si delibera voler alcuna cosa come ora è deliberato, parendoli che non debbia tutto il di languire e lasciar che altri di lui si rida e gabbi. E con questo, signora contessa, a Dio vi lascio. — Ella, udita cosi insperata e fiera proposta, da tanto spavento fu sovrapresa, che già le pareva veder la figliuola esserle per i capegli innanzi gli occhi tirala fuor di casa, e straziata a brano a brano andar gridando a piena voce mercé. Onde tutta lagrimosa e tremante pregò caldissimamente il cameriero che in buona grazia del re la volesse raccomandare e supplicarlo a non voler correr cosi in furia a disonorar la casa del conte, che sempre gli era stato fedelissimo servidore. Poi gli disse che ella parlerebbe con la figliuola e che tanto farebbe che la persuaderla a compiacer al re. Con questa buona risposta parti il cameriero, e la contessa piangendo n’andò a la camera di Aelips, che suoi lavori faceva con le sue donzelle. Mandate fuor di camera la contessa tutte le donne, a Iato d’Aelips si assise, la quale levata s’era ad onorarla e riceverla, molto piena di meraviglia del lagrimar di quella. Fatta adunque la figliuola sedere e dettole ciò che era venuto il cameriero del re a farle intendere, ultimamente, piangendo, cosi la contessa le disse: — Figliuola mia cara, già fu tempo che per vederti io tra le pili belle donne di questo reame la più bella e sovra l’altre onestissima, che io mi teneva per una madre felicissima, facendomi a credere che per le tue rarissime doti a noi devesse onore e utilità venire. Ma io di gran lunga errata sono, e dubito