Pagina:Bandello - Novelle, Laterza 1911, III.djvu/43

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PARTE SECONDA l’arca e l’uscio de! luogo fermò; poi si mise ad ordinar le cose per il desinare. In questo arrivò il maestro di casa, a cui il bresciano disse: — Mia moglie n' ha fatta una de le sue, ché ha bevuto tutto un fiasco di vernaccia, e vi so dire che sta fresca. Bisognerà poi far la scusa col compare e dirgli che è ita al partorire d’una nostra vicina. Bisogna mò che voi prendiate cura d’apprestare il desinare, che mi par essere assai ben in ordine. La tavola è messa. Questa buona donna e questo garzone faranno quanto gli commetterete. Io in questo mezzo anderò a trovar mio compare Alessio che su la piazza dei Signori m'aspetta. — Cosi se n’andò, e trovato il compare a casa lo condusse, e per meglio onorarlo invitò anco Matteo da la Lira. Né crediate che io dica Agostino da la Viola, quel cosi famoso da Ferrara, che ai nostri giorni con la viola in collo è veramente stato un nuovo Orfeo. Ma questo di cui vi parlo è un povero compagno che sa cosi un poco gratugiare la lira e dire a Timproviso. Ed in vero chi sente quei suoi versacci ed abbia niente di gusto di versi, s’accorge molto bene che sono detti impensatamente, perciò che non ci è verso dei suoi tanto limato che non abbia almeno nove o dieci piedi, senza poi le belle e scielte parole, che tutte son nate, allevate e fatte perfette nel borgo di San Zeno, ove questa lettera « o » è in maggior riverenza che non è esso santo, onde hanno un privilegio di terminar il più de le parole loro in « o ». Ora vennero costoro a desinare e furono assai comodamente di ciò che ci era serviti. Mentre che essi desinavano, la donna che sepolta era dentro l’arca de la farina si risvegliò alquanto, e quinci e quindi le mani dimenando né dove ella si fosse ima- ginar sapendo, si dubitò d’esser forse morta, parendole che la farina fosse polvere. E per esser ancor molto ben carca di vernaccia, ella non sapeva discerner la farina da la polvere. Né veggendo punto di lume, ché la finestra e l’uscio del luogo erano chiusi e l’arca chiavata, tenne per fermo esser passata a l’altra vita e sepolta; onde fra sé diceva: — Cotesta è una mirabil cosa, che io sia morta e non mi sovenga d’aver avute alcune infermità e non sappia quando io morissi. Ora sapessi io almeno se sono in paradiso od in purgatorio o per i miei