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IL BANDELLO
al magnifico signor
conte bartolomeo canossa
Erano venuti a Verona alcuni gentiluomini veneziani per diportarsi negli aprici ed amenissimi luoghi del limpidissimo e lieto lago di Garda, da’ dotti detto Benaco, ove il valoroso e magnanimo signor Cesare Fregoso molti di gli festeggiò, ne l’una e l’altra riva d’esso lago, con ogni sorte di piaceri possibili a darsi in simili luoghi, ora pescando ed ora diportandosi per quei bellissimi ed odorati giardini di naranci, limoni ed odoriferissimi cedri, nei boschi di pallenti e grassi olivi. Poi gli ricondusse a Verona, ove fuori de la cittá, sovra la chiarissima e meravigliosamente fredda fontana del celebrato dal Boccaccio Montorio, tutto un di con desinare e cena luculliani, balli, canti e suoni gli intertenne, avendo anco fatto invitar molti gentiluomini veronesi e gentildonne. Quivi ballandosi dopo desinare, il nostro messer Francesco Torre, a sé chiamatomi, mi condusse, insieme col piacevole messer Francesco Berna ed alcuni altri uomini di spirito ed elevato ingegno, sotto un ombroso pergolato del giardino che è a canto al palagio, luogo giá avuto in delizie dagli antichi signori Scaligeri. Quivi essendo ne la minuta erbetta assisi, esso Torre ci disse: — Io non so ciò che a voi altri paia del mio avviso, avendovi levato dal ballo, ove, ancor che si fosse sotto il folto e fronduto frascato che il signor Cesare ha fatto maestrevolmente fare, altro che polve e caldo non si guadagnava. Ma se vi par bene, noi staremo qui fin che il sole cominci alquanto a rallentar i suoi cocenti rai. Fra questo mezzo passiamo il tempo in ragionamenti piacevoli. — Piacendo a tutti la proposta del Torre, si cominciò a