Pagina:Bandello - Novelle, Laterza 1912, V.djvu/340

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NOTA 337 p 271, r. 27 a p. 272, r. 4 è abbreviato e mutato in questa maniera: «Alla fine, se ben dal re e regina (ché poco piacevano nella corte sua simil convenzione) fussero dissuasi a ciò dover fare, conclusero i due baroni col signor Scipione, e col mezzo di pubblico notaro stipularono ¡strumentò di quanto promesso avevano»- Le varianti colpiscono anche la sostanza: nel nostro testo il cavaliere boemo parla di « mettersi in corte » ai servigi del re Mattia, laddove nel ms. parla di « ritornarvi »; e quando ricorda i servigi suoi guerreschi presso il vaivoda della Transilvania, le parole: « fui dal conte di Cilia richiesto di mettermi in casa del re», ricordo dal quale è germinata la nuova risoluzione di andare a corte, nel ms. sono sostituite da queste altre: « I.e mie operazioni furono di modo che di me da Sua Maestà e da tutti li grandi della corte furono dette parole, che da quelle se potevano comprender la compita lor satisfazione delle fatiche mie». Ed ove la stampa suona: « Io vorrei poter mantenere il grado, che mia madre, secondo che mi ricordo, manteneva », nel ms. si legge: « Io vorrei poter mantenere il grado che li miei solevano, di famelia, cavalcature ed altro, mantenere». L'ordine del racconto della p. 273, rr. 12-34, muta interamente nel ms.: Era questa camera una fortissima pregione, che anticamente fatta fu a posta per tenervi dentro alcuni malfattori di quel regno, la quale aveva una porta di ferro con serratura todesca (e si poteva serrare ma non più aprire, chi non avesse avute le chiavi), e da un canto un balconzino, che a pena se poteva porgere alli incarcerati un pane e un bichier de vino, tanto era picciolo; in un cantone della quale vi era una roca da filare, con alquanti lessegni di lino. Il barone, avuta dalla donna questa così, al parer suo, felice risposta, se tenne il più contento e avventuroso uomo che fusse al mondo, e una ora le pareva mille anni che fusse dimane il mezzogiorno, onde rese alla donna quelle grazie che puoté maggiori, se parti e ritornò al suo albergo, pieno de tanta allegrezza quanta ognuno può imaginare. Il giorno seguente, come fu venuta l'ora del mezzodi, il barone andò al castello, e non vi ritrovando persona entrò dentro e, secondo l’ammaestramento dalla donna il giorno innanzi avuto, andò di lungo alla camera terrena, e quella aperta trovata, come fu entrato, spinse con forza la porta e da se stesso si impregionò. La donna, che non molto lontana in aguato si ritrovava, come senti la porta essersi serrata, usci della camera ove era e, pian piano alla camera del barone arrivata, volse pur di fuora vedere se la porta era ben serrata, e trovolla benissimo forte, che mai il barone da sé l’avrebbe potuta aprire. M. Bandhllo, A'ovette. 22