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NOVELLA LXVIII
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di scudi d’oro, e sentendolo pesante assai ed imaginatosi il fatto
com’era, lieto oltra misura de la racquistata libertà come anco
dei danari trovati, avviluppatosi in una schiavina, se ne venne
disopra, ringraziando di core nostro signor Iddio, che dopo
tante e tali sciagure libero si trovasse. Fece poi vela verso Na¬
poli il capitano Antonio, e navigando ebbero tanto fiera e rovi¬
nosa tempesta le sue galere, che per la contraria e fuor di modo
veemente fortuna furono vicini a rompere in mare, andando
traverse, e affogarsi non molto lontano da Gaietta. Nondimeno
col buon governo, aiutandoli nostro signor Iddio, presero a la
fine porto a Gaietta. Vi so dire che mio fratello non ebbe mi¬
nor paura di quella che ebbe quando fu preso da’ mori. Nel
porto di Gaietta dismontò egli in terra e s’allontanò alquanto
fuor di terra ed entrò in un boschetto assai vicino. Quivi, desi¬
deroso di saper ciò che guadagnato avesse, apri il trovato sac¬
chetto di cuoio, cui dentro ritrovò più di duo mila scudi d’oro,
e oltra quelli molte anella di valuta, tra le quali ci erano dui
finissimimi diamanti, che poi stimati furono da pratichi e giu¬
diziosi gioieglieri più di settecento ducati d’oro l’uno. Potete cre¬
dere che egli, smenticatosi tutte le passate sciagure, aveva il
suo core tanto lieto quanto esser si potesse, e gli pareva che
notasse in un mare di mele, trovandosi tanti danari e cosi care
gioie, ed esser in libertà; del che, dopo tanti mali, puoté tenersi
per ben ristorato. Andarono poi le galere a Napoli, ove, come
Marco Antonio fu giunto, rese quelle grazie che seppe le mag¬
giori de la sua liberazione al capitano Antonio Doria, dismontò
in terra e attese a farsi far de le vestimenta da par suo. E non
volendosi a modo veruno più confidare d’¡sperimentar la poca
stabilità de Tacque marine, montato su le poste, se n’andò a
Roma. Quivi condusse un onorato palagio, che d¡ tappezzane
adornò e forni d’ogni cosa per bisogno ed agio del suo car¬
dinale e de la corte di quello. Gli fu assai favorevole anco
in questo la fortuna, perché, dopo tanti travagli e fastidi, egli
mandò ad essecuzione tutto quello che dal suo signore gli era
stato imposto prima che monsignor lo cardinale a Roma arri¬
vasse; perché, venendo per terra a oneste giornate, ritrovò il