Or via, dimmi in che cosa sei da me offeso? che ancora ch’io sia re, non debbo senza ragione ad alcuno far offesa, perciocchè non re, come sono, ma tiranno, ch’esser mai non voglio, sarei meritevolmente chiamato. Ariobarzane, che era pieno di mal talento, seguendo pur tuttavia la grandezza dell’animo suo, tutto ciò che in diversi luoghi detto aveva, molto del re querelandosi, disse. A cui il re così rispose. Sai tu, Ariobarzane, la cagione che m’ha ragionevolmente mosso a levarti il grado de l’ufficio del seniscalco? perciocchè tu a me volevi levar il mio. A me appartiene in tutte l’opere mie esser liberale, cortese, magnifico; usar cortesia a ciascuna persona, ed obbligarmi i miei servidori dando lor del mio, e rimeritarli non puntualmente a la bilancia dell’opere da loro a mio servigio e profitto fatte, ma sempre donarli di più di ciò ch’essi hanno meritato. Io non debbo mai nell’opere virtuose di liberalità tener chiuse le mani, nè mai mostrarmi stracco di donar a’ miei ed agli stranieri secondo che l’opera ricerca; che questo è proprio ufficio d’ogni re, e mio particolare. Ma tu, che servo mio sei, con simil stile in mille modi cerchi con le tue opere di cortesia, non di servirmi e far ciò che tu dei in ver di me che tuo signor sono, ma t’affatichi di voler con l’opere tue a te di nodo indissolubil legarmi, e far che io ti resti per sempre obbligatissimo. Il perchè, dimmi, qual guiderdone ti potrei io rendere, qual dono donare, qual mai premio dare ch’io poi liberal nomato ne fossi, se tu prima con le tue cortesie a te obbligato m’avessi? Gli alti e magnanimi signori allora cominciano ad amar un servidore, quando gli donano, quando lo esaltano, avendo sempre rispetto che il dono avanzi il merito; che altrimenti nè liberalità saria nè cortesia. Il vincitor del mondo, il magno Alessandro, presa una città ricchissima e potente, che da molti suoi baroni era desiderato d’averla, e a lui era stata richiesta da quelli stessi che in acquistarla s’erano nell’armi onoratamente affaticati, e vi avevano il proprio sangue sparso, non volle a quelli darla che per i lor meriti n’erano degni; ma chiamato un pover uomo che quivi a caso si ritrovò, a lui la diede, acciocchè l’usata munificenza e liberalità in così vile ed abbietta persona ricevesse maggior luce e più chiaro nome: che in simil uomo il conferito beneficio non si può dir che da obbligazione alcuna proceda, ma chiaro si vede ch’è mera liberalità, mera cortesia, mera magnificenza e mera generosità che da altiero e magnanimo cuor procede. Nè per questo dico che non si debba guiderdonar il fedel servidore, che tuttavia si deve, ma voglio inferire che il premio sempre ecceda il merito di colui