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cui mandato sono qui è per disbarbare e svelgere i cattivi e scelerati costumi, e con l’aiuto di Dio seminarvi i buoni ed accendervi tutti ne la carità del signor nostro messer Giesu Cristo e farvi del tutto con buon modo cangiar vita. Per questo avverrà che spesse fiate riprendendo le vostre sceleraggini sarò costretto a dire che voi sète bestemmiatori, ladri, assassini ed i maggior ribaldi del mondo. Quello ch’io dirò, tutto sarà detto a buon fine. Similmente quando io dirò che voi sète usurari, adulteri, concubinarii, invidiosi, iracondi, golosi, seminatori di risse e di discordie, nodritori di guerre civili, nemici del ben publico, parziali, omicidiari e peggio che giudei, non vi devete adirare, ma pensar che io il tutto dirò a buon fine. – E molte altre cose simili rammentando, diceva pure che il tutto diria a buon fine. Era a la predicazione un ricco cittadino che dirimpetto al pergamo sedeva, il quale aveva nome Buonfine. Questo, pensando che il frate a lui volesse solamente predicare e non agli altri, perchè era molto semplice, si levò in piede e discopertosi il capo disse al predicatore: – Padre, aspettate e non andate più innanzi. A me pare che l’onestà e il debito voglia che voi predichiate a tutto il popolo e non a me solo. Dite pur anco a Berlinguccio, a Naldino, a ser Nicola Miglietti, a lo Sterlino e a ser Simone, che sono quelli che governano il commune ed hanno in queste cose più a fare che non ho io. – E dicendo alcuni che tacesse e per nome appellandolo, il frate, conosciuta la semplicità di messer Buonfine, gli disse che non dubitasse che a tutti darebbe la parte loro. E così andò dietro al suo sermone, e il nostro ser Buonfine fu cagione che tutto il popolo del suo sciocco parlare si ridesse senza fine.
Era, come sapete, mio costume, quando in Mantova dimorava, mentre che madama Isabella da Este marchesa al suo amenissimo palazzo di Diporto si teneva, andar due o tre volte la settimana a farle riverenza, e quivi tutto il giorno me ne